Class Action: uno strumento di tutela che unisce le vittime e riequilibra i rapporti di forza nella battaglia processuale

di Davide Gatto

Cosa cambia con la nuova riforma?

L’azione di classe, attraverso la quale sarà possibile tutelare i diritti individuali omogenei, è ora disciplinata dal codice di rito e non più dal codice del consumo. La legge 12 aprile 2019 n. 31, entrata in vigore lo scorso 19 maggio 2021, ha riformato l’azione di classe introducendo la relativa disciplina nel codice di procedura civile (artt. 840 bis e seguenti) e abrogando quella prevista dal codice del consumo.

Le finalità della riforma sono la tutela dei “diritti individuali omogenei” e non solo dei consumatori- utenti, ma anche di tutte le vittime di danni causati da un comune fatto costitutivo. Il riferimento della novella in commento al requisito dell’omogeneità, infatti, consente di definire e comporre la classe anche quando non vi sia corrispondenza in merito alle conseguenze derivanti dal comportamento illecito (a differenza del requisito dell’identità che richiede una coincidenza piena – identità – dei diritti fatti valere). In altre parole, ciò che assume rilievo ai fini del soddisfacimento del requisito dell’omogeneità è che la lesione dei diritti individuali dei componenti della classe sia determinata dallo stesso fatto costitutivo che ha causato il danno collettivo, inteso come danno-evento, e non rilevando invece la diversità delle conseguenze dannose subite dai singoli individui appartenenti alla classe, intese come danno-conseguenza.

Tramite la nuova azione di classe, inoltre, si potrà ottenere l’accertamento della responsabilità e la condanna al risarcimento al danno e alle restituzioni in favore delle più svariate categorie di vittime. Il legislatore, infatti, ponendosi l’obiettivo di disciplinare organicamente la class action nell’ordinamento italiano, ha trasformato l’istituto in questione in uno strumento di tutela a portata generale e non più circoscritto alle sole ipotesi di tutela del consumatore-utente. Ne consegue che l’azione potrà essere proposta non più soltanto nei casi di responsabilità del produttore o di pratiche commerciali scorrette, ma anche in tutte quelle ipotesi di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale in cui le conseguenze dannose dell’illecito e/o dell’inadempimento si riverberano su una pluralità di soggetti. Si pensi ad es. ai casi in tema di responsabilità: per danno ambientale o per danni causati alla popolazione addirittura da un terremoto determinato dall’uomo, o meglio grandi società, per erronei interventi di geotermica o di estrazione del idrocarburi e i cui effetti negativi si riverberano su intere collettività; per la diffusione di epidemie causate dalla mala gestio degli enti preposti al controllo e contenimento; ai casi di responsabilità su larga scala in ambito medico – sanitario;  per i danni causati da disastri ferroviari – aerei o dal crollo di un ponte.

Secondo la nuova disciplina la legittimazione ad agire in giudizio nei confronti dell’autore della condotta lesiva spetta sia ai singoli componenti della classe – che in tal caso rinunciano all’azione individuale – sia alle organizzazioni e associazioni senza scopo di lucro (che devono essere obbligatoriamente iscritte all’interno di un elenco pubblico istituito presso il Ministero di Giustizia). L’azione, che dovrà esser avanzata con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. avanti alla sezione specializzata in materia di impresa del competente Tribunale del luogo ove ha la residenza la parte resistente (nelle forme del rito camerale con riferimento all’azione inibitoria), potrà essere esperita nei confronti sia di imprese che di enti gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità con riferimento ad atti e/o comportamenti posti in essere nello svolgimento delle proprie attività.

Perché nasce la class action e il ritardo dello sbarco in Italia

La class action, quale istituto processuale a corollario del sistema di responsabilità civile, trova le sue origini nel sistema processuale anglosassone, ove si è sviluppato nel sistema dell’equity grazie alla possibilità delle azioni rappresentative non ammesse dalle originarie regole di common law che prevedevano la c.d. necessary parties rule, e poi è divenuto strumento processuale privilegiato per i giudizi relativi ai casi di mass torts negli USA.

Lo strumento della class action nasce come correttivo alle scorrette prassi produttive e commerciali del sistema capitalistico. Negli Stati Uniti tra il XIX e il XX, con lo svilupparsi dell’urbanizzazione e della società di massa e di conseguenza di sistemi produttivi industriali, si fece strada un sempre più stringente sistema capitalista che imponeva prodotti di scarsa qualità a prezzi sempre più elevati. Al fine di dare una risposta concreta alle storture che si erano venute a creare in tale sistema, da un lato, il legislatore statunitense emanò la Sherman Antitrust Act del 1890 volta a contrastare i grandi monopoli e il loro potere economico; dall’altro, si sviluppò il c.d. fenomeno del consumerismo, ossia la solidale aggregazione di consumatori che, unendosi, si poneva come contraltare alle grandi imprese con l’obiettivo di impedire condotte commerciali scorrette a danno dei consumatori. Ed è in tale contesto storico che fu ritenuta ammissibile la class action, quale eccezione alla necessary parties, e che nel 1842 fu emanata la Federal Equity Rule 48, con la quale furono ammesse le representative suits, sebbene con una serie di limitazioni che furono poi oggetto di varie riforme.

È chiaro che in quel contesto, cosi come in quello odierno, la class action rappresenta uno strumento attraverso il quale è possibile ottenere una maggiore dialettica sociale ed un riequilibrio dei rapporti di forza. L’istituto in voga negli Stati Uniti, infatti, oltre ad assolvere un ruolo decisivo in termini di economicità processuale, unitamente ai noti punitive damages (in caso di condotte particolarmente gravi) esplica un importante funzione della responsabilità civile: quella di deterrenza (deterrence). I meccanismi connessi alla stessa class action – volti a garantire un concreto ed effettivo accesso alla giustizia e l’efficienza della stessa anche grazie ai sistemi di forte pubblicizzazione dell’azione – hanno evidentemente l’effetto di disincentivare i comportamenti illeciti e dannosi da parte degli operatori economici più forti. Si pensi a casi come quello narrato dal celebre film “Erin Brockovich – Forte come la verità” in cui grazie, all’intraprendenza dell’omonima attivista statunitense, è stato ottenuto uno dei più grandi risarcimenti della storia a favore degli abitanti di una città californiana, danneggiati dall’inquinamento delle falde acquifere ad opera della Pacific Gas & Electric quale colosso statunitense fornitore di idrocarburi ed energia elettrica.

Tale istituto ha fatto ingresso nei sistemi di civil law europei solo di recente e con delle significative peculiarità che lo distinguono da quello statunitense. Nel nostro ordinamento approdò nel 2007 con la legge che introdusse nel codice del consumo l’art. 140 bis, ma che non entrò mai in vigore. Lo sbarco, invero, avvenne solo dopo che tale norma venne completamente riformata nel 2009. Disciplina che, però, risultò ancora deludente e che venne nuovamente riformata dalla L. 27/2012, che modificò il requisito dell’identità dei diritti fatti valere con quello dell’omogeneità degli stessi ai fini dell’esercizio e dell’ammissibilità dell’azione. Solo con la L. 31/2019 è stato finalmente introdotto in modo sistemico nel ordinamento italiano l’istituto della class action, essendo stato inserito per la prima volta nel codice di rito e non in quello del consumo.

Vantaggi della nuova class action italiana

Lo strumento processuale della class action ha, da un lato, il vantaggio di offrire una maggiore garanzia di accesso alla giustizia con minor rischio processuale e più efficienza in termini di economicità, evitando anche la moltiplicazione di giudizi aventi ad oggetto i medesimi fatti controversi, che sovraccaricherebbero il già lento sistema della giustizia con il conseguente rischio di ulteriori lungaggini processuali e, peraltro, di contrasti tra giudicati. Dall’altro, la class action, offre la possibilità di accomunare all’interno del medesimo processo soggetti che non sono litisconsorti necessari, dando così vita ad un litisconsorzio facoltativo che consente – quantomeno nell’ambito del processo – un parificazione in termine dei poteri di contrattazione tra i soggetti portatori di diritti individuali omogenei e i potenziali convenuti resistenti (es. grandi imprese), i quali spesso negano il riconoscimento della lesione dei diritti a danno del singolo proprio facendo leva sulla loro maggior forza economica.

L’evoluzione dell’istituto, infatti, trova la sua anima proprio nell’obiettivo di dissuadere condotte illecite da parte di grandi società o comunque gruppi di operatori economici di rilievo che, anche confidando nelle difficoltà di accesso alla giustizia da parte del singolo individuo, spesso assumono comportamenti scorretti a danno di una pluralità di consociati. Questi ultimi, infatti, non di rado si trovano in una posizione di svantaggio tale da vedersi costretti a dover rinunciare a far valere i propri diritti onde evitare il rischio di dover affrontare costosissime azioni individuali, magari anche nell’incertezza di affidarsi a difensori neppure molto esperti.

La nuova disciplina italiana, peraltro, garantisce al portatore di diritti individuali omogenei un accesso molto più tutelato alla giustizia, prevendendo anche dei meccanismi di verifica volti ad incentivare i cittadini ad avvalersi di soggetti qualificati per rappresentare gli interessi comuni e di professionisti esperti ai quali conferire l’incarico di difendere gli stessi, tenuto anche conto delle conseguenze negative che comporta l’eventuale revoca del potere di rappresentanza in corso d’opera, ossia l’inefficacia dell’adesione.

Sicuramente rilevante in tal senso è la novità relativa ai meccanismi di pubblicizzazione dell’azione di classe, riguardanti tutte le fasi del procedimento. Tale meccanismo gioca un importante ruolo sia ai fini dell’adesione all’azione da parte dei componenti della classe sia con rifermento alla funzione deterrente dell’azione stessa: difatti, a seguito della pubblicizzazione dell’azione, la parte resistente – generalmente imprese produttive – molto probabilmente potrebbe subire delle perdite in termini di immagine e profitto, che si andrebbero ad aggiungere ai costi del risarcimento in caso di condanna. Ciò evidentemente non può che dissuadere dette imprese dal porre in essere condotte dannose e, più concretamente, incentivare le stesse a riconosce i risarcimenti alle potenziali vittime già in fase stragiudiziale. A tal riguardo si osserva che, come è facilmente intuibile in termini di analisi economica, il danneggiante sarà incentivato ad attuare condotte illecite solo se il costo del risarcimento è inferiore o uguale al quello che dovrebbe sostenere per evitare l’evento dannoso, mentre sarà disincentivato solo nel caso in cui i costi da sostenere in caso di condanna finirebbero per essere superiori a quelli necessari per attuare le misure di sicurezza volte ad evitare la produzione di effetti dannosi.

Tra l’altro, si può osservare che un ulteriore vantaggio connesso all’azione di classe è quello di consentire, tramite l’applicazione di detto strumento, l’espletamento delle molteplici funzioni insite nell’istituto della responsabilità, che ha una natura polifunzionale (come riconosciuto anche dalla Suprema Corte con la sentenza n. 16601/2017) e alla quale pertanto non è preclusa una funzione deterrente-sanzionatoria. In tal senso e con evidente funzione deterrente vi è anche la previsione, in caso di soccombenza dei potenziali convenuti, di un trattamento premiale in favore di coloro che hanno avuto un ruolo attivo nel promuovere l’azione; infatti, in tal caso, è prevista a carico della parte resistente anche la condanna al pagamento di somme in percentuali ulteriori a quelle ordinarie (ossia quelle già previste per i compensi professionali) in favore dei difensori e rappresentanti comuni, tenendo conto dell’importo complessivo spettante a tutti gli aderenti a seguito della condanna del resistente.

Inoltre, si sono molteplici vantaggi da un punto di vista procedurale in quanto la nuova disciplina prevedere:

  1. una preliminare fase relativa al giudizio sull’ammissibilità dell’azione, che rappresenta una funzione di garanzia per i singoli compenti della classe al fine di non vedersi coinvolti in azioni strumentalizzate. Peraltro, all’esito di tale fase si ha la possibilità di aderire all’azione, così come sarà possibile anche dopo la sentenza di accoglimento;
  2. una maggiore rapidità e semplicità dell’attività istruttoria, stabilendo ai sensi dell’art. 840 quinquies che il Tribunale “omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo più opportuno agli atti di istruzione rilevanti…”: tale previsione ha indubbiamente un rilievo fondamentale nel garantire l’accesso alla giustizia, il quale per converso troppo spesso invece viene negato proprio dal mal funzionamento dagli ingranaggi della macchina della giustizia che si bloccano proprio a causa di un eccessivo formalismo;
  3. in caso di CTU, che le anticipazioni del fondo spese siano sempre poste a carico della parte resistente: tale disposizione, sebbene possa essere suscettibile di critiche in termini di rispetto della parità tra le parti processuali, ha evidentemente l’obiettivo ultimo di riequilibrare in termini economici i rapporti di forza tra le parti, gravando di tale onere la parte che in linea generale risulta economicamente più forte e, in ogni caso, lasciando un margine – seppur minimo – di discrezionalità al giudice di porre a carico solidale o della parte ricorrente le anticipazioni in caso di giustificati motivi;
  4. nell’ambito del giudizio di ammissibilità, che il giudice debba verificare che il ricorrente non sia in conflitto di interessi nei confronti del resistente e che lo stesso sia in grado di curare adeguatamente i diritti individuali omogenei, così evitando speculative strumentalizzazioni nell’applicazione dello strumento processuale che deve essere invece utilizzato con cura e diligenza a tutela della collettività;
  5. nella fase istruttoria, che alla parte che si rifiuta senza giustificato motivo di rispettare l’ordine del giudice di esibizione di prove, ovvero che distrugga le stesse, debba essere applicata una sanzione amministrativa pecuniaria da euro diecimila a euro centomila: tale previsione non può che giocare un ruolo importante al fine di garantire l’accertamento domandato, disincentivando condotte scorrette del resistente.

La novella in commento, tuttavia, sarà applicabile alle sole condotte successive alla sua entrata in vigore. Fermo restando l’applicabilità di detta disciplina a tutti i casi in cui vi siano condotte illecite cosiddette permanenti (cioè condotte iniziate prima dell’entrata in vigore e perpetrate anche dopo la vigenza della nuova disciplina); mentre resta dubbia l’applicabilità dell’azione di classe nei casi di illeciti a soli effetti permanenti e cioè la cui condotta si è esaurita in vigenza della precedente normativa ma i cui effetti, come nel caso dei danni lungolatenti, potrebbero manifestarsi successivamente all’entrata in vigore della novellata azione di classe.

Limiti della disciplina italiana: breve confronto con il modello opt-out americano

Nell’esaminare le varie novità della novellata disciplina in merito alla class action italiana si è avuto modo di evidenziare come alcune di queste (ad es. la possibilità di esperire la procedura di adesione all’azione di classe anche dopo il deposito della sentenza di accoglimento e tutti meccanismi volti alla pubblicizzazione dell’azione) siano dei forti incentivi a sostegno dell’utilizzo dello strumento processuale, che è stato chiaramente rafforzato dalla riforma.

Senza entrare nel dettaglio delle caratteristiche del sistema statunitense, occorre rilevare che una delle principali peculiarità dell’istituto americano consiste nella vigenza del regime dell’opt-out: secondo cui non è necessaria l’adesione all’azione da parte dei singoli appartenenti alla classe, ma tutti coloro che hanno potenzialmente diritto a poter far parte della classe vengono in concreto automaticamente considerati ai fini della pronuncia; salvo la possibilità di esercitare il diritto di uscire (appunto opt-out) dalla classe. Tale sistema chiaramente rappresenta un vantaggio enorme in quanto è sufficiente la sensibilità e la decisione del promotore dell’azione al fine di formare concretamente la classe. A tal riguardo bisogna però precisare che detto regime è compatibile con il sistema americano in quanto in tale ordinamento ad esempio non vige il principio della soccombenza ai fini delle spese processuali.

Per converso nel nostro ordinamento, il legislatore ha scelto un regime di opt-in e, pertanto, ai fini di una effettiva e concreta formazione della classe procedente è necessaria l’espressa adesione da parte di coloro che sono portatori di diritti individuali omogenei. Il rischio connesso a tale procedura è quello che a seguito di un’azione di classe intrapresa da pochi soggetti non vi sia una effettiva aggregazione alla stessa (richiedendo una specifica valutazione da parte dei singoli aventi diritto) e di conseguenza di non poter ottenere uno degli effetti tipici della class action, ossia quello di riequilibrio dei poteri di forza tra le parti.

Ciò, di conseguenza, comporta che la nostrana class action risulta in qualche modo limitata in quanto, stante la sua regolamentazione, la stessa per poter esprime le sue potenzialità richiede che una significativa pluralità di soggetti portatori di diritti individuali omogenei debba manifestare (attraverso la procedura di adesione) la propria sensibilità alla controversia e accettare i rischi connessi alla battaglia legale.

Nuove prospettive al netto di qualche criticità

In conclusione, non si può che prendere atto che la portata dello strumento della class action oggi operativo nel nostro ordinamento è stata notevolmente ampliata, liberandolo dalle strette maglie del codice del consumo. Seppur è vero che l’istituto in commento non è il più pregiato tra i suoi consimili, considerata la sua struttura e soprattutto se raffrontato a quello operante oltreoceano, è altrettanto vero che si tratta di un istituto con grandi potenzialità per la tutela dei danneggianti. Forse, considerato che la riforma estende di molto i confini di operatività dell’azione di classe nel nostro ordinamento, le nuove frontiere da raggiungere potrebbero essere: da una parte, quella di promuovere una importante sensibilizzazione dei danneggiati all’uso del qui commentato strumento processuale, con particolare riferimento a quei danneggiati che sino ad ora sono rimasti vittime, prima, di un comportamento illecito di terzi e, poi, della stessa paura di affrontare in solitudine complesse e costose battaglie legali; dall’altra, quella di promuovere una forte educazione al corretto uso dell’istituto e ciò allo scopo di evitare che, a seguito di domande mal proposte e serialmente respinte in sede di ammissibilità, si diffonda un profondo senso di sfiducia verso il nuovo rimedio offerto all’ordinamento: strumento processuale che invece, come si è detto sopra, risulta molto vantaggioso per la tutela di svariati diritti individuali omogenei.

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