Medici – operatori sanitari ed obbligo vaccinale: tra libertà, scienza e ragionevolezza

di Stefano Maria Commodo

In questi giorni abbiamo letto sui quotidiani e sentito nei servizi radiotelevisivi la crescente “pressione” su quei medici ed operatori sanitari che stanno facendo resistenza all’obbligo di vaccinazione per la prevenzione dal Covid – 19. Tale obbligo è stato introdotto con il D.L. 44 del 1 aprile 2021, convertito in legge con modifiche con la L. 76/2021, che prevede una sanzione molto pesante per chi non accetta di vaccinarsi: la sospensione dalla funzione e dello stipendio per chi è occupato in strutture sanitarie pubbliche o private e la sospensione dall’esercizio dell’arte medica per chi esercita la libera professione. La comunicazione giornalistica, ma anche una certa semplificazione nelle posizioni assunte dai rappresentanti degli ordini professionali, tiene ad una sorta di “colpevolizzazione” di tale scelta, spesso accostata a quella dei cosiddetti “no-vax” mentre spesso risponde a posizioni molto più motivate ed articolate.

Sono molti i medici e gli operatori sanitari che ci hanno interpellato in questi giorni, per capire come comportarsi di fronte ad un obbligo che ritengono ingiustificato, anche per la lesione di loro diritti fondamentali: va infatti detto che tale obbligo è intervenuto “a gamba tesa” in un quadro normativo che ha come struttura portante la Costituzione che, nel disciplinare i principi fondamentali e diritti inviolabili della persona umana su cui si fonda la nostra Repubblica nonché i limiti dell’azione dei poteri dello Stato, stabilisce all’art. 1 che “L’Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro…”  e soprattutto all’art. 4 che “La repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro…”; principio lavorista che – unitamente al principio di uguaglianza sostanziale di cui all’art. 3 comma 2 e in forza del quale  “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” – deve  esser coordinato con il successivo art. 32 che afferma “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto umano”

La normativa prevede che il datore di lavoro adibisca il medico o il para-medico, ove possibile, a mansioni diverse (anche inferiori) che non debbono implicare rischi di diffusione del contagio, mantenendo il trattamento economico corrispondente alle mansioni abitualmente esercitate. Quando l’assegnazione a mansioni diverse non è possibile, per il periodo di sospensione non è dovuta la retribuzione, altro compenso o emolumento, mentre la sospensione permarrà fino all’assolvimento dell’obbligo vaccinale o, in mancanza, fino al completamento del piano vaccinale nazionale e comunque (al momento ……) non oltre il 31 dicembre 2021.

Questo è il quadro normativo, che mette in confronto tra loro diritti costituzionalmente protetti e in cui si stanno muovendo il legislatore e gli esercenti le professioni sanitarie. Questi ultimi, tra l’altro, si sono trovati a dover brancolare nel buio stante, come sappiamo, l’inefficace e contraddittoria attività di comunicazione delle Autorità governative e locali sui vaccini e tenuto conto delle non sempre trasparenti politiche adottate per far fronte all’emergenza covid-19, spesso influenzate dai giganteschi interessi economici (secondo le notizie della stampa, il vaccino Pfizer costa 18 euro contro i 2 di quello Astra Zeneca) ovvero geopolitici (il vaccino russo Sputnik era disponibile da ottobre 2020, ma probabilmente sarà autorizzato solo a campagna terminata….); un quadro quindi che per certi versi giustifica lo scetticismo rispetto alle politiche per la vaccinazione di massa, accompagnate da una vera e propria propaganda che tende a criminalizzare/ridicolizzare chi il vaccino non vuole proprio farlo.

Va anche detto che chi si oppone non ha una posizione pregiudiziale contro i vaccini, non sono appunto no-vax,  poiché chi si oppone all’obbligo vaccinale adduce ragioni di una certa solidità: tutti i vaccini di cui stiamo parlando non sono stati testati attraverso i passaggi abituali ed hanno natura sperimentale, il che già di per sé li esclude dalla possibilità di renderli obbligatori in base alla normativa nazionale ed ai documenti internazionali come il Codice di Norimberga; soprattutto ogni norma deve essere ragionevole e rispettare l’equilibrio di diritti e doveri, mentre la norma che prevede l’obbligo per i sanitari penalizza il diritto al lavoro e sembra, addirittura, più una tutela per il datore di lavoro se si considera che una corretta gestione dell’ambiente di lavoro eviterebbe ogni rischio di contagio dal/verso il paziente. Tra l’altro, la corretta ed efficace adozione di misure di sicurezza (tra cui idonei dispositivi di protezione individuale ed adeguata gestione degli spazi lavorativi e di quelli dedicati ai pazienti) volte a prevenire il rischio di contagio da covid-19, ridurrebbe drasticamente anche il rischio di generiche e comuni infezioni nosocomiali; così incidendo positivamente in maniera organica e sistemica anche su tale grande problematica presente in molte strutture sanitarie italiane da ben prima del covid, a differenza della vaccinazione anti-covid di massa degli esercenti la professione sanitaria che andrebbe a ridurre, forse, solo il rischio solo per tale tipo di infezione.

Fanno infatti notare i sanitari, anche i liberi professionisti, che la loro attività è svolta con l’uso di presidi che impediscono ogni contato con il paziente, cosa che a volte non avviene per l’omissione da parte dei datori di lavoro – soprattutto in strutture pubbliche – nelle forniture dei presidi obbligatori.

Particolarmente significativa tra l’atro è la circostanza che i vaccini non assicurano la prevenzione dell’infezione, che invece è il presupposto su cui la norma fonda la previsione della obbligatorietà vaccinale.

La previsione della sospensione della retribuzione sembra quindi violare “i limiti posti dal rispetto della persona umana” che sembra impedito dall’art. 32 (alla luce dell’art. 4) della nostra Costituzione.

In Piemonte gli operatori sanitari non vaccinati sono diverse migliaia ed il presidente della regione Alberto Cirio ha recentemente ribadito che “chi svolge una professione sanitaria deve vaccinarsi….. Per chi è contrario applicheremo la legge, con l’attribuzione di mansioni diverse e, in estrema ratio, per coloro che non accettano tali nuove mansioni, l’interruzione (rectius “sospensione”) del rapporto di lavoro“.

In diverse ASL delle varie regioni italiane sono già partite le prime lettere di sollecito, quelle indirizzate a medici e infermieri, con cui si invita il destinatario a presentare entro cinque giorni la documentazione che attesta l’avvenuta inoculazione o almeno la prenotazione oppure l’eventuale esenzione per patologia. Se l’interessato non risponde o invia una documentazione insufficiente, viene invitato in modo formale a sottoporsi al vaccino. Se ancora non ottempera viene sospeso dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni “che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio”.

Cosa diciamo quindi ai tanti medici ed operatori sanitari che si rivolgono al nostro studio desiderosi di vedere rispettata la propria libertà di scelta e la propria coscienza individuale? che in effetti è messa in discussione nella strana deriva che stanno vivendo le società occidentali più ricche, sotto lo spauracchio del politicamente corretto, che rischia ormai di azzerare il libero esercizio di diritti fondamentali, anche di rango costituzionale.

Certamente non li spingiamo a non vaccinarsi, sollecitando anzi una valutazione approfondita dei benefici e delle negatività di tale scelta.

Se però rimangono fermi nella loro scelta, evidenziamo una “scaletta” di opzioni possibili, dalla richiesta di informazioni che consenta all’esercente la professione sanitaria di poter esprime un consenso informato (imposto dalla normativa internazionale in caso di vaccini di natura sperimentale) alla richiesta di una nuova collocazione che vale sia per le strutture pubbliche come per quelle private, solo che – se queste sono studi professionali – sarà lo stesso professionista che potrà informare l’Autorità che lo sollecita (in genere l’Ordine dei medici) di una organizzazione dello studio che eviti il suo contatto con il paziente, intendendosi “contatto nella visita” poiché non è il mero contatto  sociale che comporta l’obbligo vaccinale, che altrimenti sarebbe esteso anche alle segretarie amministrative degli studi medici, cosa che non è stata prevista.

Va valutata con attenzione anche la previsione dell’art. 4 della norma che prevede che la vaccinazione possa essere omessa o differita in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale, in cui riteniamo debbano essere considerate anche le patologie psichiche che possano derivare dal vedersi obbligato a ricevere un vaccino di cui non sono ancora ben note le controindicazioni.

Da ultimo, rimangono le contestazioni della rispondenza dei vaccini al momento disponibili alle previsioni della legge che rende obbligatoria la vaccinazione se ed in quanto assicuri “…la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2”.

Sotto tale ultimo aspetto sarà importante la preparazione dello scambio dialettico che potrà realizzarsi tra vaccinatore e vaccinando, con oggetto la rispondenza del vaccino agli obiettivi della norma: appunto la capacità del vaccino di assicurare prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2 che – se non confermata dal vaccinatore, come dai dati risultanti nei bugiardini e da quelli ministeriali – riteniamo possa giustificare il rifiuto del vaccino.

Chiaramente questo non escluderà il rischio della sospensione dalla funzione e dalla retribuzione, ma consentirà di affrontare il contenzioso in cui contestare tali provvedimenti con solidi argomenti.

 

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