Oggi in Tribunale a Venezia la prima udienza, citate Volkswagen Italia e la casa madre tedesca. “Attenzione alle liberatorie che firmate”.
Si è svolta oggi, mercoledì 11 maggio, a Venezia, davanti al giudice Innocenza Vono, la prima udienza per lo scandalo “dieselgate”. Il Comitato Diesel Inquinanti, che rappresenta già più di 600 automobilisti e che si candida a rappresentare i consumatori italiani nella querelle legale contro il costruttore tedesco, è intervenuto in una causa iniziata dall’associazione Codacons.
Il 18 settembre 2015 l’ente per la protezione ambientale degli USA ha comunicato di aver scoperto un defeat device capace di “far capire” ai motori della serie EA 189 quando l’auto fosse per strada oppure in laboratorio, diminuendo in questo caso i valori di emissioni di NOx, gas pericoloso per la salute e per l’ambiente. Volkswagen ha ammesso la presenza del software e si è impegnata a eliminare il software con un intervento definito “service”, la campagna di richiamo non è ancora iniziata in Italia.
Con una nota il Comitato spiega che si tratta “di un’iniziativa legale che avrà impatto positivo per tutti i proprietari, grazie alla fitta rete di relazioni internazionali ed alle conoscenze tecniche sul funzionamento del sistema che abbiamo acquisito da settembre 2015 in poi e che da oggi porteremo in Tribunale a beneficio di tutti”.
L’iniziativa, che punta a far risarcire i danni economici e quelli morali, riguarda i marchi Volkswagen, Audi, Skoda, Seat e Volkswagen Veicoli Commerciali (in Italia in totale circa 650.000 mezzi) con motori diesel della famiglia “EA189” di cilindrata 1.2, 1.6 o 2.0 TDI ed omologati Euro 5.
Il Comitato Diesel Inquinanti, nato all’indomani delle rivelazioni dell’EPA statunitense, e formato esclusivamente da proprietari di veicoli diesel del gruppo tedesco coinvolti nell’affaire emissioni, oggi conta diverse centinaia danneggiata. E, anche grazie al lavoro in sinergia con il progetto Emissioni Diesel, il Comitato ha dato vita alla prima iniziativa legale in Italia nell’ottobre del 2015, attivando tramite uno dei suoi fondatori una mediazione con Volkswagen Italia S.p.A.
Il tentativo di conciliazione, svoltosi a Cuneo il 26 ottobre 2015, era però fallito perché Volkswagen aveva dichiarato di attendere le decisioni della KBA, ente dell’omologazione tedesca.
Ed è proprio dalle conclusioni della KBA che il Comitato è partito per denunciare i rischi per i consumatori italiani: “quello che sta emergendo in Germania ci preoccupa e non poco: nonostante l’approvazione formale della KBA, che si basa esclusivamente sui test su rulli, l’Amarok dopo il service consuma di più di prima, secondo la rivista Auto und Motor Sport che le ha provate su strada”.
Per l’avvocaito Stefano Bertone, dello studio Ambrosio & Commodo di Torino che insieme allo studio Bona Oliva e Associati di Torino assiste il Comitato, la questione è estremamente grave perché Volkswagen, in altri paesi dove la campagna di richiamo è già iniziata, ad esempio la Spagna, chiede una sorta di liberatoria ai proprietari che non dovessero voler effettuare il ‘service’, e così “da un lato, l’automobilista che la fa sistemare è esposto al rischio che la propria auto consumi più di prima, dall’altra al rischio che, se non la fa riparare, un giorno le autorità ritengano l’auto non in linea con l’omologazione europea”.
Per questo motivo, sottolinea l’avvocato Renato Ambrosio “è importante che gli automobilisti siano estremamente prudenti nel firmare qualunque documento a Volkswagen quando porteranno l’auto in officina”.
Per l’avvocato Marco Bona “è grave che dopo così tanti mesi dall’emersione dello scandalo in Europa (ben oltre un anno negli USA) non siano ancora state fornite soluzioni certe e rassicuranti agli automobilisti; risulta anche singolare che le nostre istituzioni non mostrino segni di reazione dinanzi alla persistente circolazione di veicoli maggiormente inquinanti“.
Intanto, tra le novità della class action del Comitato, anche la richiesta di acquisizione di tutti i documenti dagli Stati Uniti, dove lo scandalo ha preso il via: i membri di Diesel Inquinanti nel mese scorso hanno presentato un’istanza al Tribunale Federale della California, dove sono riunite tutte le oltre 500 class action americane, chiedendo che vengano trasmesse al Tribunale italiano tutte le informazioni, anche interne del Gruppo, per permettere di “approfondire con esattezza la questione e permettere al Giudice italiano di decidere con piena conoscenza tutti gli scenari”.
Negli USA sembra ormai raggiunto un accordo che risarcirà almeno 5.000 dollari ad ogni proprietario, e il Comitato ha fatto sapere che, d’accordo con altri enti europei “non intende accettare forme ridotte di compensazione per i proprietari italiani”. Per il Comitato, inoltre, l’accordo raggiunto negli Stati Uniti è lungi dal rappresentare un limite per eventuali trattative in Italia. Dichiara l’Avv. Bona che “allo stato è prematuro esprimere giudizi in merito alla congruità di tale importo che potrebbe anche rilevarsi al ribasso“.
Il Tribunale di Venezia deciderà nei prossimi giorni sull’ammissibilità della class action.
Sul sito internet www.cdivw.wordpress.com si trovano i moduli per aderire al Comitato.
Su www.emissionidiesel.com, progetto sostenuto dal Comitato, si trovano le informazioni necessarie e un form semplice da compilare online per sottoporre preliminarmente a valutazione il proprio veicolo.