C’è un nuovo ed importante risultato nella battaglia che il nostro Studio, insieme ad altri Colleghi, porta avanti perché venga riconosciuto anche per i cittadini italiani al pari degli altri europei, il diritto all’indennizzo per le vittime di reati intenzionali violenti in forza dell’applicazione della Direttiva Europea CE 2004/80.
In virtù di tale direttiva europea a parere di chi scrive, tutte le vittime di reati intenzionali violenti, appartenenti all’Unione Europea, dovrebbero essere indennizzate in maniera equa ed adeguata dallo Stato nel quale si è verificato il fatto criminoso, e sebbene ciò avvenga regolarmente in quasi tutti gli altri ordinamenti nazionali europei, il bel Paese ritiene invece che tale diritto non sussista per gli italiani.
Si tratta di una battaglia che lo Studio Ambrosio & Commodo ha intrapreso diversi anni or sono e che ha portato, prima volta in Italia, alla condanna dello Stato Italiano per inadempimento della direttiva 2004/80 con la sentenza 3145 del 2010 resa dal Tribunale di Torino.
La Presidenza del Consiglio avverso a tale decisione propose appello infruttosamente in quanto la Corte d’Appello di Torino, con la sentenza 106/2012 confermò nel merito la decisione di primo grado riducendo parzialmente l’importo che lo Stato Italiano avrebbe dovuto erogare a titolo di indennizzo: ça va sans dir che anche tale decisione è stato impugnata in Cassazione dall’Avvocatura dello Stato.
Nell’attesa della pronuncia della Suprema Corte, sono intervenute diverse sentenze di primo grado sulla questione con risultati molto differenti: i Tribunali di Milano e Roma si sono uniformati ai precedenti sopra citati, mentre altri si sono discostati respingendo le domande di indennizzo di cittadini italiani vittime di reati intenzionali violenti.
Particolare è poi il caso del Tribunale di Torino, che dopo il proprio precedente del 2010 e nonostante la conferma resa dalla Corte d’Appello nel 2012, dal 2013 ha cambiato radicalmente rotta respingendo sempre le domande indennitarie avanzate fornendo una interpretazione della direttiva 2004/80, secondo la quale in essa non sarebbe previsto un preciso obbligo per gli Stati membri di indennizzare tutti i cittadini (e quindi anche quelli appartenenti allo Stato dove si è verificato il fatto criminoso o ivi residenti) vittime di qualsiasi reato intenzionale violento.
In questo contrastato panorama giurisprudenziale la Commissione Europea nell’ottobre 2014 (che segue ad un primo avvertimento dell’ottobre 2013 risultato totalmente inascoltato dal nostro Legislatore) ha deciso di deferire l’Italia “alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per inadeguata attuazione delle norme dell’UE in materia di indennizzo delle vittime di reato (direttiva 2004/80/CE)” ritenendo inadeguata la legislazione italiana carente sia perché garantisce la percezione dell’indennizzo solo in alcune ipotesi ma per non tutti i reati intenzionali e violenti e sia perché non lo prevede “tanto nelle situazioni nazionali, quanto in quelle transfrontaliere, a prescindere dal paese di residenza della vittima ed indipendentemente dallo Stato membro in cui il reato è stato commesso”.
Nonostante l’adozione di un simile provvedimento da parte della Commissione Europea (che è il soggetto che ha emesso la Direttiva e quindi verrebbe da dire che meglio la può interpretare…) la giurisprudenza torinese ha comunque ritenuto di dover mantenere fermo il timone sulla rotta assolutoria dello Stato, continuando ad assolverlo, noncurante della palese antiteticità delle proprie tesi con quanto chiarito dalla Commissione Europea.
Inoltre nel marzo 2015 il Tribunale di Roma, per tentare di avere chiarezza in una situazione di contrasti giurisprudenziali, rimetteva alla CGUE (Corte di Giustizia dell’Unione Europea) un quesito su come doveva essere interpretata la Direttiva, per verificare in particolare l’esistenza dell’obbligo per lo Stato Italiano di introdurre sistema nazionale generale di indennizzo azionabile anche dai propri cittadini.
In questo contesto è finalmente giunta la decisione della Corte di Cassazione che con l’ordinanza interlocutoria dell’11.09.2015, nella causa che ha per oggetto proprio l’unica sentenza di Appello che ha riconosciuto in Italia il diritto all’indennizzo, ha ritenuto di sospendere qualsiasi decisione in attesa che si pronunci la CGUE.
E allora viene da chiedersi dov’è la nuova conferma di cui al titolo del presente articolo?
In realtà l’Ordinanza della Cassazione in prima battuta ci fa riferire alla virtù della “speranza”, per il fatto che, sulla base della semplice interpretazione della Direttiva 2004/80, la Corte di Cassazione ha ritenuto di non poter cassare come richiedeva lo Stato Italiano la sentenza della Corte di Appello di Torino, legittimando quindi quella parte della giurisprudenza di merito che ha inteso negare il diritto all’indennizzo e quindi al risarcimento per la mancata corretta applicazione della Direttiva.
In altre parole la Corte di Legittimità non accogliendo il ricorso dell’Avvocatura tra le righe ha sconfessato quei Giudici di merito che sin’ora hanno rigettato le domande di condanna dello Stato Italiano per inadempimento della Direttiva 2004/80.
Ma nell’Ordinanza vi è un di più che ci fa ragionevolmente vedere una palese “conferma” del diritto all’indennizzo.
In particolare questo si ricava dal “Considerato” che “la Commissione Europea, in data 22.12.2014, ha presentato ricorso contro la Repubblica Italiana (Causa C-601/14) per omessa adozione di <tutte le misure necessarie al fine di garantire l’esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di tutti i reati intenzionali violenti commessi sul proprio territorio>, di cui all’obbligo ex art. 12 par. 2, della direttiva 2004/80/CE”.
La semplice lettura dell’ordinanza, conferma quindi che la Corte di Cassazione abbia ormai compreso l’evidente posizione della Commissione Europea nella lettura “autentica” della Direttiva 2004/80, che impone di dover riconoscere il buon diritto dei cittadini italiani a vedersi equamente ed adeguatamente indennizzati dal proprio Stato qualora vittime di reati intenzionali violenti verificatisi nel territorio italiano.
La Corte esplicitamente ritiene quindi opportuno dover attendere la Corte di Giustizia dell’Unione Europea “onde valutare se le relative emanande pronuncie possano, o meno, spiegare una qualche decisiva influenza nel presente giudizio di legittimità”, ma vista l’impostazione di tutta l’Ordinanza n. 18003/2015 risulta chiari come le sia mancato il coraggio di assumere una decisione ormai obbligatoria, solo rinviandola forse per le implicazioni che una tale sentenza avrebbe potuto avere sulle già disastrate finanze italiane.