Un nuovo modo di separarsi: la procedura collaborativa

Gli esperti delle relazioni familiari ci insegnano come la separazione è sempre un’esperienza potenzialmente traumatica, che può avere conseguenze involutive o evolutive, a seconda di come la si gestisca.

La separazione consensuale tradizionale come pure il procedimento giudiziale vengono sempre più percepiti come poco rispondenti alle esigenze delle famiglie che si trovano a dover affrontare la fase patologica dei rapporti matrimoniali.

La sfiducia nel sistema giudiziario, la necessità di reperire una procedura veloce ed a costi ragionevoli, il desiderio delle parti di riappropriarsi della gestione dei loro rapporti e di risolverli in modo personalizzato e duraturo, il bisogno sociale di reperire nuove modalità di trattativa che superino l’ottica della contrapposizione, da cui spesso derivano risultati devastanti nei rapporti interpersonali delle parti, sono i plurimi fattori che hanno fatto nascere l’esigenza di un nuovo approccio alla gestione delle controversie familiari.

Si parla di ADR, Alternative Dispute Resolution, ovvero metodi alternativi di risoluzione delle controversie cui appartiene la pratica collaborativa, una nuova modalità di gestione del contenzioso familiare, non conflittuale e basata sul reciproco rispetto, di importazione americana.

Ne ha parlato l’Avv. Sara COMMODO al convegno sul tema “EDUCAZIONE E GIUSTIZIA” organizzato dalla MAGED (Magistrati Avvocati Giuriste Europee Donne) in Collaborazione con il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Torino il 4.10.2013 presso il Tribunale di Torino.

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LA PROCEDURA COLLABORATIVA

Il 25 marzo 2010 é stata costituita l’Associazione Italiana Avvocati di Diritto Collaborativo (AIADC) con sede a Milano la quale si propone di promuovere anche in Italia la cultura e la pratica collaborativa ideata circa venti anni fa nel Nord America ma ormai praticata anche in Canada, Australia, Israele ed in vari Stati dell’Europa.

La pratica collaborativa rappresenta un modo nuovo di separarsi e, più in generale, di risolvere le controversie familiari.

Si sostanzia in una negoziazione basata sugli interessi e non tanto sui diritti o sulle posizioni delle parti.

Tale pratica si pone come prioritario l’obiettivo di salvaguardare il mantenimento di buone relazioni fra i componenti del nucleo familiare, anche dopo la separazione, nell’interesse sì dei figli ma anche degli adulti coinvolti

Al termine di un riuscito percorso collaborativo, improntato al rispetto reciproco, i coniugi avranno raggiunto accordi soddisfacenti per entrambi e dunque saranno in grado di relazionarsi positivamente anche in futuro.

La pratica collaborativa parte da presupposti teorici decisamente nuovi rispetto al tradizionale modo di concepire una separazione da parte dell’ordinamento giuridico italiano:

  • Un primo presupposto teorico della pratica collaborativa é che una separazione (o un divorzio) non si possa affrontare solo da un punto di vista legale perché “il Problema” per il/del cliente é ben più complesso e sfaccettato, composto allo stesso tempo da questioni legali, finanziarie, psicologiche, relazionali e di riorganizzazione della propria esistenza;
  • Secondo presupposto della pratica collaborativa è che nel ricercare una soluzione alle questioni conseguenti alla separazione di una coppia la logica della contrapposizione, che implica vi sia un vincitore e un vinto, non é funzionale al benessere di adulti e figli perché entrambe le parti devono sentirsi soddisfatte del risultato raggiunto.
  • nella decisione della vita futura del cliente e dei suoi figli, il cliente deve rimanere il vero protagonista, senza delegare le relative scelte all’autorità giudiziaria e/o agli avvocati e per fa ciò egli deve essere messo nella condizione di effettuare le scelte migliori anche in un momento di maggior fragilità come é, quasi sempre, quello della separazione.

Partendo da questi presupposti teorici è stata pensata e perfezionata nel tempo una tecnica che si propone il raggiungimento dei predetti obiettivi attraverso un lavoro di squadra, squadra composta necessariamente almeno dalle due parti e dai rispettivi avvocati (uno per ciascuna parte) ed eventualmente anche da altri professionisti, come il commercialista o esperto finanziario, lo specialista dei bambini, uno o più esperti di relazioni familiari.

A tutti i professionisti del team é richiesta la formazione nella pratica collaborativa.

L’idea di fondo è lavorare in team: i due partner, i due avvocati “collaborativi” (uno per parte) e, quando necessario, un commercialista e/o un esperto di relazioni familiari e/o un esperto di psicologia infantile e/o un esperto di questioni finanziarie, anch’essi formati alla pratica collaborativa.

Non si affida il proprio destino al giudice, né lo si delega agli avvocati: si lavora tutti insieme.

Gli incontri si svolgono, solitamente, “a quattro” (le parti ed i due avvocati), con la possibilità di prevedere la presenza di altri esperti.
Prima di avviare la trattativa, le parti firmano un contratto nel quale si impegnano alla più totale trasparenza, ma, altresì, alla più assoluta riservatezza – anche in caso di mancato raggiungimento dell’accordo e, quindi, di eventuale, successivo ricorso al Tribunale – rispetto ai dati messi dalle parti a disposizione di tutti per il perseguimento dell’accordo.
Ciò che ulteriormente contraddistingue la pratica in esame rispetto alle altre forme di trattazione delle separazioni è il fatto che gli avvocati – così come gli altri esperti – che abbiano seguito le parti nel percorso collaborativo, laddove questo fallisca e, quindi, sia necessario chiedere l’intervento del tribunale, non possono assistere i rispettivi clienti in tale procedimento.

Nell’ambito di questo lavoro di squadra sono elementi essenziali il rispetto reciproco, la sintonia d’intenti, la trasparenza e la buona fede.

Questa nuova metodologia prevede come detto la presenza di un coach, uno psicologo, che

  • aiuta a gestire in modo amichevole la procedura;
  • facilita e rende sicura la comunicazione
  • abbassa il livello di ansia
  • identifica le priorità ampliano le opzioni
  • identifica le preoccupazioni
  • focalizza sul presente e sul futuro
  • aiuta le parti a generare un progetto genitoriale
  • assiste il Team collaborativo anche uno psicologo nella veste di rappresentante indipendente e neutrale del minore e dei suoi bisogni.

In tal modo il consulente dei minori consente ai figli di

  • far ascoltare la loro esperienza,
  • di comprendere cosa sta accadendo alla loro famiglia
  • di formulare domande
  • di avere chiarimenti riguardo ai cambiamenti nella loro vita e nella loro famiglia
  • di avere voce nella procedura

E consente ai genitori di

  • acquisire informazioni che li aiutino a fare scelte migliori mentre assumono decisioni importanti per la loro vita
  • verificare che essi stanno percorrendo una strada di salvaguardia nella gestione della crisi familiare
  • di considerare le necessità, le preoccupazione e le prospettive di ciascun figlio
  • di ricevere suggerimenti per sviluppare un piano genitoriale adeguato

In questo modo i minori non solo si sentiranno ascoltati e considerati ma avranno la possibilità di percepire e inserire nel proprio bagaglio di valori l’importanza, anche in un momento di difficoltà familiare, del rispetto per le esigenze di tutti i componenti del nucleo.

Si discute, tenendo presenti le esigenze – materiali e non – della famiglia coinvolta nel processo separativo e, per fare questo, si dichiara tutto, con la trasparenza più assoluta e con grande senso di responsabilità: dall’eventuale, avvenuto tradimento del partner, fino alla propria situazione finanziaria, ivi compresi eventuali patrimoni “in nero” (si pensi ai casi di contenzioso che hanno causato, come conseguenza di certe richieste volte all’accertamento dei redditi effettivi del partner, conseguenze assai gravi e di certo non tutelanti degli interessi della famiglia). Si espongono perplessità, problemi, timori, ansie, desideri. Si prova a costruire insieme il destino di ciascuno, senza lasciare che sia il giudice a deciderlo. E, anche, con la volontà di non litigare, ma di mettere al centro la buona qualità delle relazioni, presenti e future.

Gli avvocati, ben consapevoli del costo psicologico del conflitto, si adoperano per far sì che ricevano tutela non le posizioni, ma, bensì, gli interessi dei loro assistiti.

La pratica collaborativa, riducendo i tempi della negoziazione, consente anche di contenere i costi rispetto ai percorsi tradizionali

Gli esperti delle relazioni familiari ci insegnano come la separazione è sempre un’esperienza potenzialmente traumatica, che può avere conseguenze involutive, o evolutive, in dipendenza dal modo in cui si gestisce e si affronta la separazione.

Questa nuovo approccio consente alle parti di non rimanere invischiate nel conflitto ma, con l’aiuto dell’intera squadra a propria disposizione, di superarlo, di acquisire consapevolezza non già rispetto a quello che vogliono ma rispetto al perché lo vogliono. E’ così che raggiungeranno un accordo che consentirà loro di avere lo sguardo rivolto al futuro non già al passato.

L’esercizio della pratica collaborativa comporta un cambiamento culturale ed un approccio decisamente innovativo: i professionisti lavorano “insieme”, senza riserve mentali di sorta, per aiutare i loro assistiti a trovare un accordo che poggi su solide basi e che sia, quindi, duraturo.

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