La prima pronuncia della Cassazione sull’ inadeguato recepimento della direttiva 2004/80/CE: riconosciuta la responsabilità statale e condanna della Presidenza del Consiglio
In data 24.11.2020 la Suprema Corte si è finalmente espressa sull’annosa questione conseguente l’inadeguato recepimento della direttiva 2004/80/CE da parte dello Stato Italiano, di cui abbiamo già parlato in alcune nostre precedenti newsletter.
In estrema sintesi il dibattito ha per oggetto l’esistenza del diritto di tutte le vittime di reati intenzionali violenti, nel caso di mancato risarcimento da parte del responsabile, ad essere indennizzate da parte dello Stato in cui si è verificato il fatto criminoso, appunto in forza della Direttiva 2004/80/CE.
Dopo due sentenze di merito (Tribunale di Torino e Corte d’Appello di Torino) che l’avevano condannata a risarcire la somma di € 50.000,00 quale indennizzo per il reato di violenza carnale subito da una cittadina residente in Italia, la Presidenza del Consiglio dei Ministri era ricorsa in Cassazione, sostenendo che la citata direttiva europea
- Non imponesse agli Stati membri di indennizzare le vittime di tutti i reati violenti (anche quelli di criminalità comune) commessi sul loro territorio ma concedesse la facoltà di individuare i reati che permettessero di accedere all’indennizzo, facoltà di cui si era avvalsa predisponendo dei sistemi di indennizzo per le vittime di reati di stampo estorsivo, mafioso e terroristico;
- Limitasse l’indennizzo esclusivamente ai casi transfrontalieri (la vittima non doveva residente nel paese di commissione del reato, lo Stato avrebbe quindi avuto l’onere di risarcire solo i cittadini UE residenti in un altro Stato membro che avessero subito un reato intenzionale violento in Italia)
- Imponeva espressamente, a carico della vittima, la necessaria dimostrazione dell’impossibilità di recupero del risarcimento a carico del reo, per accedere all’indennizzo.
Inoltre, davanti alla Suprema Corte, lo Stato Italiano sosteneva che grazie a diversi interventi legislativi (L. 122/2016, 167/2017, 8/2020 e Decreto Min. Interno 22.11.2019) tutti successivi ai giudizi di merito, la danneggiata aveva ottenuto a titolo di indennizzo la somma di € 25.000 e che tale somma doveva ritenersi un adeguato indennizzo.
La Corte di Cassazione, con la recentissima sentenza n° 26757 del 24.11.2020, ha respinto il ricorso e affermato importanti principi che rendono finalmente la giusta tutela ai cittadini.
In primo luogo viene espressamente riconosciuto la responsabilità per il colpevole inadempimento dello Stato Italiano per il mancato tempestivo recepimento della Direttiva 2004/80/CE con argomentazioni molto nette che non lasciano più adito ad alcun dubbio interpretativo: affermano infatti gli ermellini che la norma europea imponeva con sufficiente chiarezza a ciascuno Stato Membro di creare a proprio carico un sistema di indennizzo valido per tutte le vittime di qualsiasi reato intenzionale violento, fossero esse residenti e o meno, subiti sul loro territorio e l’Italia non lo ha fatto.
In secondo luogo la Suprema Corte evidenzia come non possa affermarsi che la direttiva imponga la dimostrazione, gravante sulla vittima, dell’obiettiva impossibilità di conseguire il risarcimento da parte dell’autore del reato quale necessario requisito per accedere alla tutela indennitaria.
La Cassazione infatti evidenzia come la ratio della normativa europea imponga di interpretarla nel senso che debbano ritenersi sufficienti, per far scattare il diritto all’indennizzo, anche solo degli “oggettivi e seri ostacoli nel conseguimento da parte della vittima del risarcimento ad essa spettante”: si tratta evidentemente di una soluzione molto ragionevole e più favorevole per la vittima, rispetto alla posizione della Presidenza del Consiglio, ripresa dalla norma italiana, che pretendeva la dimostrazione positiva dell’impossibilità di ottenimento del risarcimento.
In terzo luogo confermando la liquidazione del danno operata dalla Corte d’Appello in € 50.000,00 a fronte dei 25.000,00 previsti dalla norma italiana, la Corte di Cassazione, sebbene implicitamente, conferma che tale misura dell’indennizzo prevista dal Legislatore non possa ritenersi conforme ai criteri di equità ed adeguatezza imposti espressamente dalla direttiva europea.
Sul punto la Corte con una mirabile argomentazione giuridica evidenzia infatti che, sebbene l’”indennizzo” non possa essere quantitativamente e qualitativamente uguale al “risarcimento” (il primo istituto è per definizione un importo standardizzato ex ante, mentre il secondo deve corrispondere al ristoro integrale dei danni effettivamente riscontrati ex post), la funzione che tali due istituti devono assolvere è analoga e che la loro differenza si assottiglia ulteriormente laddove l’indennizzo debba essere anche “equo ed adeguato”: per avere tali caratteri un indennizzo, ancorché forfettizzato, deve necessariamente poter essere modulato al caso concreto al fine di poter compensare, in misura appropriata, le sofferenze concretamente patite dalle vittime.
Sarà quindi sempre possibile, per il Giudice investito della questione, valutare se l’importo forfettario stabilito dal Legislatore possa ritenersi equo ed adeguato secondo un giudizio equitativo che tenga nella dovuta considerazione il concreto pregiudizio patito dalla vittima quale conseguenza del reato intenzionale violento subito.
Da queste brevissime considerazioni emerge in tutta evidenza l’importanza della decisione che commentiamo: finalmente ci sarà attenzione concreta verso le vittime che, dopo aver subito la violenza del reato, troppo spesso si ritrovavano prive di qualsiasi ristoro davanti all’incapienza economica o l’irreperibilità del criminale responsabile: essere totalmente abbandonate a loro stesse da uno Stato distratto ha sempre rappresentato una pena in più per la parte lesa, ma ora la situazione dei più deboli sarà maggiormente tutelata e, anche se è indubbio che nessun indennizzo potrà mai ristorare il danno subito, una concreta dimostrazione di solidarietà consentirà alla vittima di non sentirsi sola.