Capita sempre più spesso che rivolgendosi al nostro Studio poiché intenzionati a separarsi dal coniuge i nostri clienti ci chiedano cosa potrebbe succedere al loro adorato animale domestico.
In seno a protocolli siglati in tanti dei Fori italiani è stata disciplinata solo la gestione delle spese di cura di animati d’affezione laddove gli stessi restino nella disponibilità del genitore collocatario di figli minorenni o maggiorenni non economicamente autosufficienti. Il Protocollo d’Intesa tra Tribunale e Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Torino del 15.03.2016, per esempio, sorto, così come in altre città italiane, al fine di disciplinare la ripartizione delle spese tra i genitori separati, individua tra quelle straordinarie ripetibili anche senza consenso le ‘spese di cura per l’animale d’affetto e che rimanga presso il genitore collocatario dei figli in ragione dei pregressi rapporti affettivi col medesimo’ (art. 5, capoverso 3 lett. C). Successivamente anche il CNF (Consiglio Nazionale Forense), alla stregua di quanto sopra, è intervenuto sulla questione approvando, nel novembre 2017, le “Linee Guida per la regolamentazione delle modalità di mantenimento dei figli nelle cause di diritto familiare”, individuando tra le spese comprese nell’assegno di mantenimento – e quindi diversamente dal Protocollo torinese – le “spese per la cura degli animali domestici dei figli (salvo che questi siano stati donati successivamente alla separazione o al divorzio)”.
Non vi è quindi alcuna disposizione in materia che prescinda dalla presenza di figli minori.
La sensibilità sul tema dei nostri rapporti con gli amici a quattro zampe è però molto mutata in questi anni tanto che ormai da oltre 10 anni giace sulle scrivanie del Parlamento una proposta di legge – DDL 1392 – che tra le altre cose vorrebbe introdurre nel codice civile l’art. 455 ter relativo all’affidamento degli animali in caso di separazione di coniugi, che verrebbe così disciplinato: “Per gli animali familiari, in caso di separazione di coniugi, il tribunale, in mancanza di un accordo tra le parti, a prescindere dal regime di separazione o di comunione dei beni e a quanto risultante dai documenti anagrafici dell’animale, sentiti coniugi, i conviventi e la prole, e acquisito, se necessario, il parere degli esperti di comportamento animale, ne attribuisce l’affido esclusivo o condiviso alla parte in grado di garantire loro la sistemazione migliore inerente il profilo della protezione degli animali. Il tribunale ordinario è competente a decidere, ai sensi del primo comma, in merito anche in caso di cessazione della convivenza more uxorio.”
Tuttavia, la proposta è ancora in attesa di approvazione ed allora, in assenza ad oggi di una specifica norma di riferimento, non resta che ricercare una soluzione concreta attraverso una altrettanto concreta prassi giurisprudenziale.
Vediamo allora come negli ultimi anni i nostri tribunali hanno risolto il problema dell’affido degli animali domestici in caso di separazione tra i loro proprietari.
Nel 2013 il Tribunale Milano, con la pronuncia del 13 marzo stabilì che l’animale – fino a poco tempo prima ritenuto alla stregua di un oggetto – non potesse più essere collocato nell’area semantica concettuale delle “cose” dovendo essere riconosciuto, come in realtà è, un “essere senziente”, disponendo, sulla base di quanto sopra, che fosse legittima facoltà dei coniugi – in sede di separazione – quella di regolare la permanenza dell’animale presso l’una o l’altra abitazione e le modalità che ciascuno dei proprietari dovesse seguire per il mantenimento dello stesso.
Ci fu dunque un primo avvicinamento all’interesse dell’animale domestico e venne dunque consentito ai comproprietari separandi di accordarsi in merito alle condizioni del suo affidamento e mantenimento.
Tre anni più tardi, anche il Tribunale di Como con la pronuncia del 3 febbraio 2016, seguì la stessa strada e decise di omologare le condizioni di separazione di due coniugi aventi ad oggetto la sola sorte dell’animale domestico, ritenendo che le condizioni previste dai proprietari relative alla suddivisione delle spese di mantenimento e di cura del cane rivestissero un indubbio contenuto economico, al pari di qualunque altra spesa relativa a beni o servizi di interesse familiare, né contrastassero con alcuna norma cogente, e che dunque non vi fosse alcun ostacolo al loro inserimento nella sede giudiziale e nella conseguente omologa. Aggiunse poi, con riferimento alle condizioni relative agli altri aspetti del rapporto con l’animale (alternanza), come le stesse si preoccupassero di assicurare a ciascuno dei comproprietari la frequentazione con l’animale e la responsabilità sullo stesso e che pertanto rivestissero un particolare interesse per i coniugi, meritevole di tutela.
Nessun particolare problema pare dunque esserci mai stato con riferimento alla gestione degli animali domestici in sede di separazione in caso di accordo congiunto tra i coniugi.
Ma se invece i coniugi intenti a separarsi non riuscissero a raggiungere un accordo in ordine alla gestione del proprio amico a quattro zampe e chiedessero che fosse il Giudice a pronunciarsi sulla questione?
Ecco, in questo caso, la giurisprudenza ha solo di recente cambiato il proprio orientamento.
Sempre il Tribunale di Milano, con le pronunce del 2 marzo 2011 e 17 luglio 2013 stabilì che nel procedimento di separazione giudiziale – diversamente da quanto avviene nei procedimenti di separazione consensuale – il Tribunale non potesse regolare l’affidamento dell’animale domestico, posto che i poteri del Giudice in ordine ai provvedimenti accessori sono determinati in modo puntuale da norme (artt. 155 e 156 c.c.) che non contemplano statuizioni relative agli animali di proprietà del nucleo familiare ed al loro mantenimento.
Anche lo stesso Tribunale di Como, con la medesima pronuncia del 3 febbraio 2016, nell’omologare le condizioni raggiunte consensualmente dai coniugi, invitò questi ultimi, in caso di futuro divorzio, a regolare le sorti dell’animale domestico con impegni stragiudiziali, non potendovi provvedere il Giudice in caso di loro disaccordo.
In caso di contrasto tra le parti, dunque, il giudice della separazione non sarebbe stato tenuto ad occuparsi della assegnazione degli animali di affezione all’uno o all’altro dei coniugi, né della loro relazione con gli stessi.
Tuttavia, con la sentenza del 15 marzo 2016, il Tribunale di Roma cambiò l’orientamento giurisprudenziale, fino a quel momento pressoché consolidato, seppur con qualche eccezione.
Il Tribunale della Capitale decise infatti – come in realtà già deciso poco prima dai Tribunali di Foggia e Cremona -, di applicare per analogia agli animali domestici la disciplina riservata ai figli minori e ciò al fine di tutelare l’interesse materiale-affettivo-spirituale del cane che per tre anni aveva convissuto con la coppia, venendo regolarmente accudito sia da una parte che dall’altra. Il Giudice, alla luce dei fatti e dell’anzidetto interesse materiale-affettivo-spirituale decise di disporre l’affido condiviso dell’animale ad entrambe le parti, con obbligo di cure congiunte, provvedendo nella misura del 50% ciascuno alle spese per il suo mantenimento (cure mediche, cibo e quanto altro eventualmente necessario al suo benessere) e dispose inoltre che lo stesso stesse sei mesi l’anno con l’uno e sei mesi con l’altra, con facoltà per la parte che nei sei mesi non lo avesse avuto con se di vederlo e tenerlo due giorni la settimana, anche continuativi, notte compresa.
Sulla stessa lunghezza d’onda si è espresso anche il Tribunale di Sciacca, con il recente decreto del 19 febbraio 2019, il quale, rilevato che anche in mancanza di accordi condivisi il sentimento per gli animali costituisse un valore meritevole di tutela, anche in relazione al benessere dell’animale stesso, ha assegnato il gatto al coniuge che dalla sommaria istruttoria era apparso assicurare il miglior sviluppo possibile dell’identità dell’animale ed il cane, indipendentemente dall’eventuale intestazione risultante nel microchip, ad entrambi i coniugi, a settimane alterne, con spese veterinarie e straordinarie al 50%.
Certo, vedere che i tribunali, nel silenzio della legge, siano “costretti” ad applicare per analogia agli animali la normativa riferita all’affidamento dei figli minori lascia un po’ sgomenti, posto che a differenza dei bambini che hanno certamente bisogno di trascorrere il proprio tempo sia con la madre che con il padre, gli animali domestici nella maggior parte dei casi, per quanto possano essere affezionati a più soggetti, riconoscono invece un solo padrone e solo a quest’ultimo dovrebbero essere affidati, anche per il bene dello stesso animale.
Sta di fatto che almeno la giurisprudenza si sta pian piano adattando alle esigenze del nostro tempo tutelando come può anche gli interessi dei nostri cari amici a quattro zampe. Ora non resta che sperare che anche il legislatore faccia lo stesso, mediante l’entrata in vigore dell’apposita proposta di legge, che ormai da troppo tempo necessita dell’approvazione.