di Elena Di Ieso e Gabriele Gastaldi
Capita spesso al nostro Studio di dover assistere persone che si trovano ad essere drammaticamente coinvolte nelle difficoltà economiche, sino addirittura al fallimento, di società di persone cui hanno partecipato, a volte senza neppure essere interessate o coinvolte nelle attività di amministrazione, spesso affidate a qualche familiare o amico cui si è fatto l’errore di dare cieca fiducia.
È bene ricordare infatti che far parte di una società di persone rende i soci illimitatamente responsabile delle obbligazioni della società: cioè ogni creditore sociale, con i limiti che vedremo più avanti, può agire sul patrimonio personale del socio – sia immobili che conti correnti, ecc, – per recuperare quanto gli è dovuto.
L’effetto più eclatante e “pericoloso” di tale principio è che “La dichiarazione di fallimento di una società di persone si estende automaticamente ai soci illimitatamente responsabili, ivi compresi i soci di fatto, sia palesi che occulti” (Cassazione civile, sez. VI, 05/11/2015, n. 22594),
È un aspetto che va considerato con molta attenzione, poiché spesso si sceglie la veste della società di persone alla luce del fatto che il legislatore ha previsto tale forma giuridica pensando alle esigenze di coloro che intendono costituire una società, con struttura, mezzi e sforzo finanziario e organizzativo minori rispetto a quanto sarebbe necessario per la costituzione di una società di capitali, più riferibili ad attività non commerciali o comunque con dimensione familiare o artigianale.
Nel tempo, tuttavia, le varie modifiche alla norme che reggono la fiscalità nel nostro Paese hanno reso meno significative le differenze dei costi di gestione tra una società di persone ed una di capitale e, conseguentemente, la scelta di costituire una società di persone non può prescindere da un’attenta analisi circa il regime della responsabilità patrimoniale dei soci nei confronti dei creditori sociali.
Il principio di fondo da tenere sempre presente è che anche le società di persone sono dotate di autonomia patrimoniale, poiché come nelle società di capitali il loro patrimonio è separato da quello dei soci e destinato all’attività d’impresa e all’adempimento delle obbligazioni assunte dalla società: tale principio generale, però, non esclude che alla responsabilità della società possa affiancarsi la responsabilità illimitata e solidale dei soci, o di taluni di essi, con forme e limiti diversi a seconda della tipologia societaria. Solo che nelle società di persone i soci, prima di vedere aggredito il loro patrimonio personale in maniera illimitata e in solido tra loro, possono eccepire il c.d. beneficium excussionis (previsto rispettivamente dall’art. 2268 c.c., per la società semplice, e dall’art. 2304 c.c., per la società in nome collettivo -applicabile anche alla società in accomandita semplice, stante il rinvio di cui all’art. 2315 c.c.-), in forza del quale i creditori sociali sono tenuti ad escutere il patrimonio della società, prima di potersi rivalere sul patrimonio personale dei soci.
In particolare, nella società semplice, i soci, che hanno agito in nome e per conto della società, sono sempre illimitatamente e solidalmente responsabili per le obbligazioni sociali, ma “il socio richiesto del pagamento di debiti sociali può domandare, anche se la società è in liquidazione, la preventiva escussione del patrimonio sociale, indicando i beni sui quali il creditore possa agevolmente soddisfarsi” (art. 2268 c.c.). Il creditore sociale può quindi aggredire direttamente e immediatamente (anche prima di aver agito nei confronti della società) il patrimonio del singolo socio, il quale, però, può paralizzare l’azione esecutiva eccependo la preventiva escussione del patrimonio sociale, indicando l’esistenza di beni facenti capo alla società sui quali il creditore possa soddisfarsi.
Pertanto, il beneficio di escussione nella società semplice opera in via di eccezione ed il singolo socio è sempre responsabile, a meno che non provi l’esistenza di beni della società non solo sufficienti, ma anche agevolmente aggredibili da parte del creditore.
Nella società in nome collettivo e nella società in accomandita semplice, invece, il beneficio di preventiva escussione opera diversamente.
Nella S.n.c., ai sensi dell’art. 2291 c.c., “tutti i soci rispondono solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni sociali”; mentre nella S.a.s. “i soci accomandatari rispondono solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni sociali, e i soci accomandanti rispondono limitatamente alla quota conferita” (art. 2313 c.c.). La responsabilità personale dei soci (quella di tutti i soci nella s.n.c. e dei soli accomandatari nella s.a.s.) per le obbligazioni sociali, però, è necessariamente sussidiaria rispetto a quella della società: il beneficio di preventiva escussione è maggiormente tutelante per i soci ed opera automaticamente: il creditore sociale deve escutere in primis il patrimonio della società e, solo ed esclusivamente in caso di insufficienza dello stesso, può poi agire sui beni personali del singolo socio.
La giurisprudenza, di merito e di legittimità, è pacifica nell’affermare come gravi sul creditore l’onere di provare con certezza l’incapienza del patrimonio societario, prima di procedere all’esecuzione nei confronti del socio: in particolare, il creditore deve provare di aver già esperito infruttuosamente l’azione esecutiva nei confronti della società, oppure, indipendentemente dall’azione esecutiva, deve comunque dimostrare l’inesistenza o l’insufficienza del patrimonio sociale ai fini del soddisfacimento totale o parziale del proprio credito (vedasi ex multis Cass. civ. Sez. lav., 03.03.2011, n. 5136, con cui la Suprema Corte ha chiarito che l’esito negativo di un pignoramento presso terzi dei diritti di una società in nome collettivo è inidoneo a far ritenere certa l’incapienza del patrimonio societario, ben potendo la società disporre di altri beni sufficienti a garantire il soddisfacimento del credito).
Peraltro, occorre precisare come il beneficio di escussione abbia un’efficacia limitata alla fase sola esecutiva e non impedisca dunque al creditore di agire verso il socio, in sede di cognizione, al fine di munirsi di uno specifico titolo esecutivo e/o di garanzie ipotecarie nei confronti di quest’ultimo.
Diversamente, qualora l’azione giudiziale sia stata esperita dal creditore nei soli confronti della società, l’eventuale sentenza di condanna costituisce valido titolo per l’esecuzione forzata anche nei confronti dei soci illimitatamente responsabili, previa escussione del patrimonio sociale come sopra esposta (sul punto, vedasi ex multis Cass. civ. Sez. I, 16/01/2009, n. 1040, “la sentenza di condanna pronunciata in un processo tra il creditore della società e una società di persone costituisce titolo esecutivo anche contro il socio illimitatamente responsabile, salvo, per questi, il beneficio della preventiva escussione del patrimonio sociale”). Volendo quindi trarre una conclusione, possiamo dire che per chi voglia avviare un’attività d’impresa o commerciale è più prudente l’adozione della forma della società di capitali -generalmente una s.r.l., società a responsabilità limitata – che, senza costi significativamente maggiori rispetto ad una società di persone, “blinda” però il patrimonio personale dei soci rendendolo inattaccabile dalle richieste dei creditori della società.
L’utilizzo della società di persone può invece restare valido e prudente nel caso di società che debbano solo amministrare un patrimonio, sia mobiliare che immobiliare, esclusa rigorosamente ogni attività commerciale ed imprenditoriale.