È mio! …No, è mio! …anzi nostro!
Quando si contesta la proprietà comune di un bene condominiale e si fa valere l’usucapione come titolo di acquisto.
La vicenda: due soggetti agiscono in giudizio al fine di far dichiarare a loro favore l’intervenuta usucapione di un locale condominiale posto nel sottoscala del Condominio. Una condomina si oppone a tale pretesa e chiede anzi in via riconvenzionale il rilascio dell’immobile. In primo e secondo grado, viene rigettata la domanda attorea, mentre è accolta quella riconvenzionale. In particolare, secondo il giudice del grado di appello, il maggior uso del bene composseduto non è sufficiente a dimostrare il possesso esclusivo ad usucapionem, inoltre, l’utilizzo del bene comune era avvenuta previo accordo, verosimilmente con il Condominio o con l’Amministratore, quindi si trattava di mera detenzione e non era intervenuta alcuna interversione del possesso. Il godimento del bene e il possesso delle chiavi costituiscono infatti una modalità di esercizio del compossesso, non idonea a dimostrare la volontà di escludere gli altri. Infine, la circostanza che il vano cantina sia attraversato dagli impianti condominiali è indice di un “possesso promiscuo incompatibile con l’esclusività necessaria ai fini dell’usucapione del diritto di proprietà”.
La Suprema Corte cui è sottoposto il caso con ricorso di chi voleva far valere l’usucapione confuta tali argomentazioni, affermando – con l’ordinanza 4 ottobre 2024, n. 26024 – che non sussiste alcuna incompatibilità «ben potendosi usucapire un bene gravato da diritti reali alieni, che per propria connaturale qualità non contrastano il diritto di proprietà esclusiva sul bene che gravano». I giudici della Corte di Cassazione ricordano, altresì, che per usucapire un bene comune di cui si è comproprietari è necessario dimostrare un possesso esclusivo uti dominus senza necessità di compiere atti di interversione del possesso, infatti, il comproprietario non è detentore – come sostiene la decisione gravata – ma possessore. L’usucapente deve però dimostrare di aver compiuto atti integranti un comportamento durevole che evidenzino un possesso esclusivo animo domini – cioè, come esclusivo proprietario – incompatibile con il permanere del compossesso altrui. A tal fine, secondo la giurisprudenza, sono insufficienti meri atti gestori oppure atti come il compimento di spese per il miglior godimento della cosa comune che non integrano un’estensione del potere di fatto sul bene nella sfera degli altri compossessori. Nel caso di specie, la chiusura a chiave della cantina da parte degli attori e l’occupazione con le proprie suppellettili sono stati valutati come indici univoci della volontà di escludere gli altri compossessori dal godimento del bene
L’ordinanza 4 ottobre 2024, n. 26024 emessa dalla II sez. civile della Corte di Cassazione, ci consente quindi di poter individuare le condizioni necessarie perché un condomino usucapisca un bene condominiale comune:
- Possesso continuato ed ininterrotto. Questo vuol dire che il condomino deve possedere il bene comune in maniera continuativa e ininterrotta per il periodo di tempo previsto dalla legge (20 anni per usucapione ordinaria, 10 anni per usucapione abbreviata in buona fede e con titolo idoneo).
- Possesso esclusivo. Questo significa che il condomino deve esercitare un controllo tale da escludere gli altri condomini dall’uso del bene comune.
- Possesso pubblico e non occulto ossia deve essere pubblico e manifesto, visibile agli altri condomini, senza nascondere l’uso esclusivo del bene.
- Possesso pacifico nel senso che non deve essere stato ottenuto con violenza o clandestinità, né deve essere stato contestato validamente dagli altri condomini.