La polemica intorno alla pratica della “maternità surrogata” o “utero in affitto” si è scatenata sui media e nelle nostre case, dopo che il Governo ha dato indicazione ai sindaci di non accettare le trascrizioni dei certificati di nascita dei bambini concepiti all’estero attraverso tale pratica.
La polemica è stata alimentata da approcci iperbolici, come l’accusa all’Italia di lasciare senza tutela “milioni” di bambini, quando è notorio che la questione, almeno nel nostro paese, riguarda poche centinaia di casi. Ma in cosa consiste la pratica dell’utero in affitto o, come propongono i suoi sostenitori, della “gestazione per altri”? Tale pratica consiste nel far portare a termine una gravidanza ad una donna per conto di terzi; la donna può essere la madre biologica del bambino, quando viene inseminato il suo ovulo, ma può esserle impiantato un embrione fecondato in vitro che può provenire da donatori sia per il seme che per l’ovulo. Abitualmente è una pratica per cui si pagano notevoli e variabili cifre, posto che tutto è basato sul bisogno delle donne “portatrici” cui peraltro vanno solo le briciole, ma ci sono anche le cosiddette “maternità altruistiche” in cui la gravidanza è portata avanti senza compensi.
Prima di analizzare, seppur sinteticamente, l’imponente mole di questioni giuridiche, etiche e sanitarie che tale pratica si porta dietro, vediamo cosa ne pensano gli italiani ed a tal fine riportiamo la “foto” del sondaggio effettuato recentemente dal sito Termometro Politico.
Come si può notare, la netta maggioranza degli italiani – il 76,9% – è contraria a tale pratica, tenendo presente che il 21,4% “salva” solo l’ipotesi della “maternità surrogata altruistica” che è notoriamente ininfluente in un giro d’affari che ammonta a miliardi di dollari.
Alla base di questa diffusa contrarietà c’è forse l’istintiva sensazione di qualcosa di negativo nel “manipolare” l’uomo, nel mercificarlo e renderlo alla fine un “oggetto” frutto di una tecnica che sembra far diventare lecito un qualcosa solo perché possibile.
Molti commentatori a favore della maternità surrogata insistono sul rilievo che questa consente di soddisfare il desiderio di un figlio, chiaramente voluto da una persona benestante, del mondo occidentale, in genere omosessuale maschio – posto che l’utero in affitto è pratica seguita soprattutto dalle coppie di maschi gay per ovvi motivi – che per soddisfare il proprio “desiderio” di avere comunque un bambino mette in secondo piano lo sfruttamento del corpo delle donne, poiché una donna viene pagata per portare a termine una gravidanza per conto di altri. Questa pratica si fonda quindi su una condizione di disuguaglianza economica, in cui le donne con minori opportunità economiche vengono indotte a prestarsi come madri surrogate: non per nulla i movimenti “storici” femministi sono contrari all’utero in affitto e si oppongono alla sua introduzione nei nostri ordinamenti. E’ di questi giorni la notizia che l’attrice spagnola Ana Obregòn ha avuto a 68 anni una bambina tramite la maternità surrogata ed è stata per questo criticata dalla ministra delle Pari opportunità (del governo spagnolo di sinistra) Irene Montero convinta che “E’ una pratica illegale in Spagna, considerata una forma di violenza contro le donne”.
Ci sono anche preoccupazioni riguardo alla salute delle donne che agiscono come surrogate, poiché la gravidanza e il parto sono processi complessi e rischiosi, così come riguardo alla salute del feto, poiché la gestazione per altri può comportare il rischio di malattie genetiche o complicazioni durante la gravidanza.
A tale pratica sono poi collegate delicate questioni giuridiche, riguardanti la definizione della maternità e della paternità, poiché la pratica dell’utero in affitto comporta problemi legali riguardanti il destino finale del bambino, il riconoscimento del nome dei genitori biologici e la cittadinanza. La selezione di embrioni per garantire che il bambino abbia determinate caratteristiche fisiche, come la pelle chiara, gli occhi azzurri o i capelli biondi, ovvero su tratti genetici specifici come l’intelligenza o le abilità sportive, può poi assumere connotazioni razziste, favorendo alcune razze rispetto ad altre, a seconda di quali caratteristiche sono considerate “migliori” o “desiderabili”.
Inoltre, la selezione di embrioni potrebbe portare a una maggiore segregazione tra le diverse razze, poiché i genitori potrebbero scegliere di avere bambini solo con caratteristiche simili alle loro: la selezione delle caratteristiche del bambino può quindi portare a una maggiore discriminazione razziale, e per questo motivo è importante considerare attentamente le implicazioni etiche e sociali di questa pratica.
E la divergenza tra il bimbo “desiderato” e quello “nato” può infine provocare un doloroso contenzioso tra committente e madre surrogata, con questa che può trovarsi costretta a tenere il bambino che non ha le caratteristiche promesse, ovvero eliminarlo.
La polemica di questi giorni è tutta incentrata sul “bene del bambino”, ma se si analizzano pro e contro, c’è da chiedersi se il “bambino” meriti di essere coinvolto in situazioni così complesse e rischiose, che potranno influire sul suo sviluppo e, in ultima analisi, mettere in discussione la sua felicità: una volta cresciuto con due padri o con due madri, il bambino o poi l’adolescente pretenderanno di sapere chi è la made o il padre; si dovrà riproporre la favola della cicogna?
Altro problema: chi si dovrà far carico del bambino se i genitori intenzionali, cioè coloro che hanno richiesto la gestazione alla donna portatrice, lo rifiutano? Al momento dipende dalle leggi e dalle pratiche del paese in cui si svolge la pratica dell’utero in affitto, poiché in alcuni paesi la legge stabilisce che i genitori intenzionali sono responsabili del sostentamento del bambino, anche se decidono di non accettarlo. Tuttavia, in altri paesi, i diritti delle donne gestanti non vengono per nulla tutelati e la donna portatrice può essere considerata la madre legale del bambino, con l’effetto di doversene assumere la responsabilità e l’onore del mantenimento.
Il fenomeno nel suo complesso, riguardando numeri davvero esigui, sembra una forzatura, quasi un progetto “apripista” per far assorbire come normale che un bambino nasca senza il padre o senza la madre, con la tecnica governata dalla finanza a spingerci verso un futuro senza relazioni, in cui uomini e donne sole vedranno crescere bambini fuori dal quadro di affettività naturale che da sempre governa l’umanità.
Questa prospettiva, un’umanità che ha perso la sua normalità antropologica, può far paura e visto anche che passa attraverso la mercificazione e l’umiliazione della donna e del bambino (che non si può comprare al mercato, ma si può ordinare su internet…!!) ha motivato alcuni parlamentari a proporre di qualificare la pratica dell’utero in affitto come REATO UNIVERSALE, come capita per reati come la pedofilia ma anche per fatti di minore allarme sociale come la detenzione, cessione ed acquisto di avorio (reato in forza della Convenzione Cites), poiché solo la possibilità di sanzionare fatti ritenuti reato anche se commessi fuori dai confini nazionali – può efficacemente impedire tali condotte. L’ipotesi di modifica dell’attuale normativa, su cui dovrà decidere il parlamento, prevede che «le pene si applicano anche se il fatto è commesso all’estero» (nella versione proposta da Giorgia Meloni) ma solo se a commettere il reato è un cittadino italiano (nella versione di Mara Carfagna).
Ovviamente bisognerà riservare la migliore tutela ai bambini che comunque nascono da tale pratica e la soluzione sembra quella di poterli inserire immediatamente nei percorsi per l’adozione, nei casi in cui uno dei “genitori surrogati” sia il genitore biologico, negli altri casi consentendo la loro accoglienza in famiglie che si sono messe a disposizione di chi ha bisogno di loro.
Il dibattito è aperto e potremo tornare sull’argomento per commentarne gli sviluppi.