L’argomento delle immissioni rumorose attira da anni l’attenzione soprattutto in considerazione dei diversi interessi che si frappongono nei contenziosi che ne derivano: da una parte il diritto al silenzio, a poter vivere e riposare tranquillamente senza l’interferenza di rumori fastidiosi generati da terzi e dall’altra quasi sempre la necessità di svolgere attività produttive e quindi lavorare, producendo però dei rumori che disturbano i “vicini di casa”.
Il Tribunale di Torino ha recentemente emesso in materia d’immissioni acustiche una interessante sentenza (n. 1261/2021) accogliendo il ricorso di un gruppo di 29 cittadini che hanno agito contro il Comune, responsabile di non aver adottato negli anni provvedimenti idonei ed efficaci a contrastare i rumori e gli schiamazzi della movida del quartiere.
In particolare i cittadini in questione si sono rivolti all’autorità giudiziaria per chiedere di ordinare al Sindaco, in base a quanto previsto dall’art. 844 c.c., di far cessare le immissioni sonore eccessive o di adottare le misure necessarie per riportare i rumori nei limiti della normale tollerabilità; di ordinare al Comune di pagare una penale in favore di ciascun attore di 48,00 euro per ogni giorno di ritardo dell’adempimento suddetto; di condannare il Comune a risarcire a ciascuno un danno non patrimoniale da liquidarsi in via equitativa in misura non inferiore a 62.400 euro in relazione al periodo di danno.
I ricorrenti, nello specifico, hanno contestato che dal 2006, quando sono stati realizzati i lavori per le Olimpiadi invernali nella città di Torino, il quartiere in cui abitano è diventato uno dei principali luoghi di svago notturno della città: sono stati aperti nuovi ristoranti, bar, enoteche, rivendite di street food e minimarket con bevande da asporto, oltre a venditori ambulanti ed i dehors sempre in netta espansione. Tutto ciò senza il dovuto controllo da parte delle autorità e nessun provvedimento da parte del Comune nonostante le continue richieste dei residenti e nonostante nel 2013 anche l’ARPA fosse intervenuta individuando il superamento dei limiti di immissione sonora previsti dalla legge in alcuni di questi locali.
Il Comune si è difeso richiamando tutti i provvedimenti adottati nel corso degli anni ed i controlli effettuati per contrastare il fenomeno lamentato, sostenendo di aver agito anche nell’interesse degli abitanti e del loro diritto al riposo. Ma tali interventi non sono risultati risolutivi ed ai cittadini è stato riconosciuto il risarcimento del danno da inquinamento acustico.
La sentenza in esame ha infatti condannato il Comune a risarcire i residenti riconoscendo loro importi variabili fino a un massimo di € 42.000 ciascuno, ritenendo sussistente il nesso tra la situazione creatasi e le azioni insufficienti e del tutto inadeguate adottate dal Comune che non ha previsto un piano di risanamento acustico, non ha controllato il flusso di persone e non ha regolato in modo adeguato gli orari delle attività.
Indubbio quindi il danno cagionato ai ricorrenti, tanto più che anche le Sezioni Unite della Cassazione hanno avuto modo di precisare che “il danno non patrimoniale conseguente a immissioni illecite è risarcibile indipendentemente dalla sussistenza di un danno biologico documentato, quando sia riferibile alla lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria abitazione e al diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini quotidiane, trattandosi di diritti costituzionalmente garantiti, la cui tutela è ulteriormente rafforzata dall’art. 8 della convenzione europea dei diritti dell’uomo, norma alla quale il giudice interno è tenuto a uniformarsi.” Corte di Cassazione Sezz.ni Unite, Sentenza n.2611/2017.
Assolutamente in linea con la pronuncia appena analizzata, ma ancora più “punitiva” nei confronti di chi genera rumori oltre i limiti e dunque maggiormente tutelante per chi li subisce, è la pronuncia ottenuta recentemente dal nostro studio, emessa dal Tribunale di Cuneo in data 23.12.2019 (sentenza n. 1047/2019).
Il caso riguarda una famiglia composta da 4 persone (padre, madre e due figlie) che vive alle porte di Savigliano vicino ad un consorzio agrario che da decenni svolge la propria attività di essiccazione producendo per tre mesi ogni anno, rumori diurni e notturni che hanno reso insopportabile la vita dei nostri assistiti.
La sentenza del Tribunale di Cuneo (oggi appellata, al vaglio della Corte d’Appello di Torino), ha confermato che il Consorzio Agrario, arrivato molti anni dopo la famiglia, ha inquinato con immissioni rumorose ogni anno dalle 6 di mattina alle 22 di sera compresi i fine settimana nei mesi da settembre a novembre di ogni anno.
Tutte le soluzioni sperimentate dalla povera famiglia sono risultate inutili (cambi di vetri alle finestre, finestre sempre chiuse anche nel periodo estivo, spostamento interno delle camere dell’abitazione per poter dormire di notte lontano dalla fonte rumorosa).
Il Consorzio, come il Comune di Torino nel caso precedentemente analizzato, non è riuscito ad intervenire fattivamente per evitare l’inquinamento acustico.
Il Tribunale anche in questo caso ha concluso a favore degli attori stabilendo che aldilà dei limiti imposti dalla legge, per tutelare i diritti delle persone occorre che sia rispettata la soglia di normale tollerabilità del rumore.
Un team di esperti nominati dal Giudice ha misurato le emissioni per mesi e ha concluso che i rumori erano intollerabili sia a finestre aperte che chiuse.
Il Tribunale ha dunque condannato il Consorzio Agrario al pagamento di circa € 5.000 per persona all’anno, dunque € 20,000 l’anno per i 20 anni di vita profondamente disturbata di tutta la famiglia per un totale di € 110.000,00 per ciascun attore, oltre rivalutazione ed interessi dal 1997 al saldo, per un importo complessivo che supera i 600.000,00.
E’ stato così nuovamente ribadito il principio secondo cui il diritto alla salute ed alla vita di relazione prevale sull’interesse economico alla produzione!
…. e chi ha orecchie per intendere…intenda !