“Il sistema della giustizia italiana, caratterizzato da solide garanzie di autonomia e di indipendenza e da un alto profilo di professionalità dei magistrati, soffre di un fondamentale problema: i tempi della celebrazione dei processi.”
Questa è la frase che a pag. 51 del P.N.R.R. introduce il tema “Giustizia” e c’è da preoccuparsi perché sembra che chi sta per delineare le auspicate riforme parta da un elogio per la magistratura del tutto fuori luogo dopo le tante vicende che hanno invece messo in luce le gravissime mancanze nella condotta dei magistrati, sia come singoli che come organi associativi; per limitarci alle più recenti ed eclatanti: il caso Palamara, radiato addirittura, ma fonte inesauribile di vicende che mortificano l’istituzione; il caso Eni-Amara, cadute di stile che hanno spinto la ministra della giustizia Marta Cartabia ad affermare: «Diciamolo pure, la magistratura sta attraversando una fase di crisi, una crisi di credibilità e soprattutto, ai miei occhi più grave, di crisi della fiducia dei cittadini. Ci vorrebbero più Livatino». Ma Livatino è ora Beato e si muoveva riferendosi a virtù che risultano ormai poco conosciute.
La riforma della Giustizia ci sta molto a cuore, non solo come avvocati che ogni giorno a causa delle inefficienze del sistema si trovano a dare risposte non sempre adeguate ai propri clienti, ma anche come cittadini, ben sapendo che la tutela efficiente dei diritti, oltre a rispondere ad un diritto della persona di rango costituzionale, è uno degli indicatori della “qualità-Paese” che più influenzano le scelte degli operatori economici nell’individuare la sede delle loro attività e dei loro investimenti.
Toccando l’argomento nella nostra News Letter, riteniamo quindi di affrontare un tema fondamentale per la nostra professione, ma anche per la vita dei nostri amici lettori e dobbiamo sottolineare come la frase autocelebrativa sopra riportata non risulti di buon auspicio, perché il riformatore dà subito l’idea di voler accantonare approcci radicali, preferendo la inconcludente politica dei “pannicelli caldi”.
E la conferma della scelta di soluzioni di basso profilo viene dallo stesso redattore del P.N.R.R. quando afferma che “ Il Piano esclude una modifica radicale dell’impianto del processo civile che provocherebbe, soprattutto nei primi anni, negative conseguenze per il necessario tempo di adattamento da parte degli operatori”, affermazione che riporta una preoccupazione del tutto opinabile, perché da un lato il “tempo di adattamento” dipende dal tipo di innovazione riportato -tenendo presente che i destinatari sono avvocati e magistrati, soggetti quindi attrezzati ad affrontare nuovi scenari – dall’altro è ben chiaro che le modifiche non avranno mai adeguata incidenza se non saranno radicali.
Una riforma radicale non necessariamente deve essere “rivoluzionaria” ma dovrebbe partire da una buona conoscenza dei mali del sistema, uno dei quali è senz’altro la proliferazione dei riti che comportano una serie di inefficienze, in particolare quando è errata la scelta del rito, spesso provocata dalla incertezza nella sua individuazione in relazione ai vari casi.
Sarebbe utile l’introduzione di un rito, mantenendo i riti speciali, e la scelta dovrebbe cadere sul rito del lavoro, un rito agile che consente la modulazione – sotto la guida del giudice – del processo in funzione delle istanze delle parti e che è diffusamente conosciuto da cittadini ed imprese, consentendo anche un accesso “democratico” alla tutela dei diritti, che passa sempre attraverso la conoscenza degli strumenti di difesa utilizzabile.
L’obiettivo dovrebbe essere quello di creare un sistema efficiente e facilmente accessibile, economicamente e culturalmente, invece il nostro legislatore sembra indirizzato ad adottare soluzioni finalizzate solo allo scopo di ridurre i tempi dei processi, senza alcun miglioramento nell’efficienza.
Senza dubbio ci sono previsioni utili, come quella della creazione nelle varie sedi giudiziarie dell’Ufficio del Processo: una struttura con personale qualificato, che potrà ausiliare il giudice nella ricerca dei materiali e nell’esame dei precedenti giurisprudenziali, la cui realizzazione però dovrà evitare la creazione di inutili sovrastrutture burocratiche.
Positiva anche l’introduzione della possibilità per il giudice di merito di rivolgersi direttamente alla Corte di Cassazione per sottoporle la risoluzione di una questione nuova (non ancora affrontata dalla Corte), di puro diritto e di particolare importanza, che presenti gravi difficoltà interpretative e sia suscettibile di porsi in numerose controversie, anche se non è ben chiaro l’impatto dell’intervento della Cassazione sugli eventuali ulteriori gradi di giudizio.
Fatti questi riconoscimenti, si deve però rilevare che l’impianto complessivo che viene fuori dalle pagine del P.N.R.R. dedicate alla Giustizia è sostanzialmente di basso profilo, che si tenta di nascondere con ampie spruzzate di…. digitalizzazione, indirizzandosi su soluzioni che disincentivano o rendono più difficile (e più costoso) l’accesso alla giustizia: sinteticità degli atti, che limitano la possibilità di ben illustrare una domanda, con strumenti premiali e addirittura sanzioni per l’ipotesi di non osservanza; potenziamento del filtro di ammissibilità dell’appello; valorizzazione dei principi di sinteticità e autosufficienza (spesso contraddittori…) nel giudizio di Cassazione; ecc..
L’auspicio è che il lavoro del parlamento ed il contributo delle parti interessate possa aiutare il miglioramento dell’impianto, che neppure considera aspetti come la responsabilità civile dei magistrati ora rimessa al centro del dibattito dal Referendum promosso da Lega e Partito Radicale.