La responsabilità del Custode

di Angela Prino.

Com’è noto, la Giurisprudenza in materia di responsabilità per custodia ha percorso un lungo e tortuoso cammino che ha impegnato Magistrati, accademici ed avvocati, in numerosi e talvolta intensi dibattiti su natura della fattispecie, onere della prova, caso fortuito, applicabilità della disciplina alla Pubblica Amministrazione.

In realtà la norma è molto semplice e chiara e non appare inutile riportarla anche per la brevità della sua formulazione: “Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”. A fronte della chiarezza della disposizione ci si può legittimamente domandare come mai dottrina, giurisprudenza ed operatori del diritto in genere abbiano sentito il bisogno di produrre tonnellate di carta e perdersi in eterne discussioni. La risposta è semplice : la qualità del custode, ovvero il soggetto che materialmente detiene un oggetto, va a connotare il giudizio circa la sussistenza della sua responsabilità, con le conseguenze di natura economica e politica del diritto che ne derivano. Questo è un dato di fatto che si può facilmente ricavare dall’esame delle sentenze, specialmente di merito, che mostrano chiaramente di offrire un trattamento differenziato a seconda che il detentore sia un pubblico ente, oppure un privato, e se privato, il gestore di struttura aperta al pubblico transito ovvero la parte di un contratto che implichi la prestazione accessoria dell’ospitalità. Ma non solo. La qualità del custode ha un altro importante rilievo nella valutazione della condotta posta in essere dal soggetto che nella norma neppure viene citato, ma che in realtà, nel processo pare ricoprire il ruolo di protagonista, ovvero il danneggiato. Si è assistito nell’ultimo decennio ad un ampliamento del concetto di caso fortuito, unica prova che libera il custode, tale da farlo coincidere talvolta con il semplice transitare del danneggiato come si dice “nel punto sbagliato al momento sbagliato”, con conseguente rigetto della richiesta di risarcimento e condanna al pagamento delle spese processuali. In un’epoca in cui sembra che termini come custodia, caso fortuito, fatto del terzo e fatto dello stesso danneggiato paiano dadi che vengono tirati dai giocatori sul tavolo della giustizia, senza alcuna certezza sul punteggio realizzato, appare quantomeno doveroso chiarire i concetti chiave su cui si fonda questa davvero semplice disposizione codicistica.

  1. Il custode.

La responsabilità ex art. 2051 cc è responsabilità oggettiva, che discende dal rapporto di custodia, in ragione del quale il custode, sulla base di una situazione giuridicamente rilevante rispetto alla cosa, ha il potere di controllarne lo stato ed il dovere di eliminare le situazioni di pericolo per chi vi entra in contatto.  Conseguentemente è irrilevante accertare se il custode sia o meno incorso in colpa nell’esercitare il proprio potere di vigilanza. Da ciò deriva che la responsabilità sussiste in ipotesi di accertamento del solo collegamento tra la cosa e il danno, senza necessità di ulteriore indagine in ordine alla condotta custode. Il dovere di vigilare deriva dal potere che il custode esercita sull’oggetto.

  1. La strada cittadina, di cui è proprietario l’ente comunale, è sotto il controllo dei suoi funzionari, che previa riscossione dei tributi, hanno il dovere di vigilare affinché non si verifichino situazioni pericolose per i cittadini e di intervenire immediatamente per eliminare ciò che non sia stato possibile evitare, in breve manutenzione ordinaria e straordinaria.
  2. Il Condominio è sotto il controllo del nominato amministratore, che, dietro la corresponsione di spese condominiali, ha il dovere di proteggere l’incolumità di chiunque acceda ai locali, a prescindere dalla qualità di condomino, fornitore, semplice ospite.
  3. Il gestore del locale commerciale o comunque aperto al pubblico deve occuparsi dello stato della struttura di cui si serve per ottenere un profitto, approntando tutte le misure atte ad evitare danni agli utenti.
  4. Infine il gestore di attività commerciale che implichi la conclusione di un contratto avente ad oggetto anche il materiale affidamento della persona contraente, come l’albergatore, il ristoratore o il parrucchiere, andrà incontro a responsabilità per il danno subito dal cliente in occasione della prestazione.

Pertanto il detentore, che lo sia per legge o meno, avrà sempre l’obbligo di risarcire i danni subiti dai soggetti a causa dell’utilizzazione dell’oggetto della custodia.

  1. Il danneggiato.

La norma, tralasciando di menzionare quale sia l’onere della prova a carico del danneggiato, passa subito ad analizzare qual è l’unica possibilità per il custode di liberarsi dalla responsabilità. La dottrina e la giurisprudenza si sono invece a lungo soffermate sugli obblighi del danneggiato salvo poi finalmente approdare alla semplice constatazione che il silenzio della legge sul punto non può che spiegarsi alla luce del fatto che il Legislatore ha evidentemente ritenuto che non vi fosse necessità di esprimere un’ovvietà. E’ infatti chiaro che se non vi è correlazione tra il danno e la corretta ed ordinaria utilizzazione dell’oggetto, non vi è responsabilità. Conseguentemente il danneggiato per ottenere il risarcimento deve dimostrare di aver subito una lesione interagendo  in modo ordinario con l’oggetto rivelatosi, non importa per quale ragione, fonte di danno.

  1. Il caso fortuito

La vera questione nodale che ha impegnato le corti di legittimità e di merito, oltre che dottrina ed avvocati è proprio l’esatta definizione dei limiti della prova che il custode è obbligato fornire al Magistrato per essere liberato dalla responsabilità. Sulla carta l’ipotesi di caso fortuito è integrata dal fattore causale, anche umano, terzo o danneggiato stesso, totalmente imprevedibile, inevitabile ed estraneo alla sfera di controllo del custode. Quindi il custode per andare esente da responsabilità dovrà fornire la prova, a titolo esemplificativo che :

  1. A) La buca sul manto stradale era pienamente segnalata, o altrimenti visibile e ben illuminata, oppure ancora verificatasi in pochi secondi con conseguente impossibilità di intervenire, mentre il cittadino transitava saltellando indossando tacchi a spillo con lo sguardo volto al cielo.

B)L’amministratore di condominio dovrà dimostrare, la perfetta manutenzione dello stato della struttura, ovvero la presenza di adeguate segnalazioni di pericolo, e l’impossibilità di un tempestivo ripristino, per l’immediatezza della creazione del fattore potenzialmente dannoso, come la presenza di acqua sul pavimento, ça va sans dire, assolutamente imprevedibile ed inevitabile;

C)D)    Il gestore del locale aperto al pubblico dovrà dimostrare di aver predisposto tutte le misure atte a prevenire infortuni sul lavoro, come dei propri dipendenti così dei propri clienti, e che nonostante la costante vigilanza del responsabile della sicurezza non sia stato possibile intervenire per annientare l’idoneità lesiva di un carrello difettoso o di una superficie resa scivolosa da materiale alimentare, tenendo sempre presente il legittimo affidamento del cliente di un esercizio commerciale di trovarsi in un luogo sicuro e di poter focalizzare la propria attenzione alla merce in vendita.

In conclusione, in relazione alla peculiarità del custode il magistrato dovrebbe domandarsi: il Comune mi ha fornito la prova dell’anormale imprevedibile ed inevitabile transito del cittadino su quel tratto di strada? L’albergatore mi ha fornito la prova di aver costruito la piscina con materiale antiscivolo? ed in difetto, era prevedibile ed evitabile che l’ospite scivolasse sulle piastrelle lisce e bagnate procurandosi lesioni? E così via.

L’esame delle pronunce dell’ultimo decennio si discostano in gran parte dai detti principi. Come si accennava, anche per ragioni non prettamente giuridiche, il concetto di caso fortuito, che giova ribadirlo, non è altro che fattore causale imprevedibile, inevitabile e totalmente estraneo alla sfera di controllo del custode, ha subito un’espansione tale da poter esser individuato nella condotta posta in essere dal danneggiato il quale non ha prestato quella massima attenzione che un fantomatico principio di autoresponsabilità gli impone ogniqualvolta utilizza un oggetto altrui. In altre parole, in netto contrasto con la disposizione codicistica, si è di fatto giunti ad un’inversione dell’onere della prova, addossando a carico del danneggiato l’onere di dimostrare l’idoneità lesiva della cosa e soprattutto, la propria impossibilità di prevederla od evitarla nonostante l’adozione della massima diligenza nell’utilizzazione della struttura, ad esempio indossando scarpe basse, tenendo lo sguardo costantemente fisso sul piano calpestio o addirittura se si conoscono i luoghi, cambiando percorso. La Suprema Corte, con l’intento di arginare questa distorsione dell’applicazione della legge ha ben chiarito in numerosi e recentissimi arresti, che dal soggetto che usufruisce di una strada cittadina, della rampa di scale di un condominio, così come di un centro commerciale o di un albergo, è pretesa  solo l’ordinaria diligenza del buon padre di famiglia. La diligenza qualificata è richiesta non al danneggiato ma al detentore della cosa che proprio in relazione a quella situazione giuridicamente rilevante che lo collega all’oggetto ha il dovere di proteggere l’incolumità di chi se ne serva, mettendo in atto tutte le misure necessarie ad evitare danni agli utenti, in base alle cognizioni specifiche che discendono dal proprio ruolo di custode, sia esso dirigente del settore infrastrutture del comune, l’amministratore dello stabile, il proprietario del bar o del centro commerciale.

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