di Alessandra Carisio
È un dato assodato ormai che i social media siano attrattivi, soprattutto tra i minori, che hanno anche multipli account e che vi accedono molto presto, quasi sempre prima dell’età consentita dalla legge. Il più delle volte questo sorprende e spaventa, specialmente il genitore, che pur senza avere grande familiarità con questi social media, ne percepisce un’indubbia influenza sul comportamento del proprio figlio.
A tal proposito, la letteratura più recente in materia ha ormai confermato che il prolungato utilizzo dei social da parte dei minori può dare vita a problematiche di natura neuropsichiatrica. Non può a riguardo passare inosservato un recentissimo volume del sociologo statunitense, Jonathan Haidt, “La generazione ansiosa. Come i social hanno rovinato i nostri figli”. In questo libro l’autore delinea i danni fondamentali per l’infanzia che si individuano in deprivazione sociale, privazione del sonno, frammentazione dell’attenzione e dipendenza. Tutti queste problematiche si acuiscono quando ad essere sottoposto ai dannosi stimoli dei social media è un minore: l’assenza di una corteccia prefrontale matura rende questi soggetti maggiormente vulnerabili, esponendoli ad importanti conseguenze psicofisiche. Quanto da Haidt denunciato in questo scritto trova riscontro nell’odierna letteratura scientifica che è addirittura arrivata ad equiparare la dipendenza da social a quella da sostanze ormai comunemente ritenute dannosissime per la salute, come alcol, sigarette e stupefacenti.
È proprio a partire da questa crescente presa di coscienza che sorge la preoccupazione di un gruppo di genitori italiani rappresentato dal Movimento Genitori Italiani – MOIGE che si sono rivolti allo studio Ambrosio & Commodo per dare il via alla prima class action in Italia contro i colossi del web, Meta e TikTok. È stata quindi promossa un’azione collettiva inibitoria, con l’obiettivo di ottenere un provvedimento giudiziale che imponga alle principali piattaforme social di adottare misure concrete per prevenire o limitare gli effetti dannosi connessi al loro utilizzo.
Ma quali sono, in concreto, le richieste avanzate al Giudice? Le condotte invocate si articolano in tre distinte domande, volte a delineare altrettanti obblighi di comportamento a carico delle piattaforme convenute. Innanzitutto che si cessi l’accettazione sui social di utenti senza la previa verifica dell’età idonea per potervi accedere. In secondo luogo che si ponga fine all’utilizzo di strumenti algoritmici di manipolazione che portano il minore a spendere elevati – spesso, eccessivi – lassi di tempo su queste piattaforme. Infine che Meta e TikTok si adoperino per informare l’utente della pericolosità e dei rischi derivanti dall’utilizzo dei social per la salute dei minori.
L’interesse prioritario dell’azione è dunque che si concretizzi un reale controllo sull’iscrizione a queste piattaforme, ad oggi ridotto ad una mera autodichiarazione dell’utente, che permette l’utilizzo da parte dei minori, spesso all’oscuro dei genitori. Anche il genitore a conoscenza della presenza del figlio minore sui social spesso però si trova di fronte ad uno strumento con cui non ha familiarità e che oltre a serbare problematiche di carattere contenutistico genera anche danni neuropsichiatrici di natura permanente. E qui appunto, si inserisce la richiesta di trasparenza alle piattaforme nell’informare l’utente – giovane o genitore di minore quale sia – dei rischi connessi all’utilizzo dei social quel prodotto dannoso per la salute.
Come si evince dall’ordine di richieste avanzate, l’obiettivo della class action non è solo quello di prevenire l’accesso dei minorenni ai social media, ma si è per la prima volta approcciato un aspetto altrettanto importante: inibire l’incrementale utilizzo di sofisticati strumenti algoritmici additivi finalizzati a creare nell’utente, e specialmente nei giovani, una dipendenza da queste piattaforme. Gli utilizzatori di queste piattaforme avranno ben chiaro a cosa ci si riferisce quando si parla di algoritmo, scrolling infinito, interfaccia della piattaforma. Quello che però non sempre è palese è la potenza di questi sistemi nell’innescare subdolamente vere e proprie dinamiche di dipendenza create volontariamente da Meta e TikTok per incrementare il tempo di utilizzo dell’utente. Questa problematica si acuisce nel momento in cui l’utente è di giovane età e pertanto, non solo meno consapevole, ma anche più influenzabile per ragioni di sviluppo neuropsichiatrico. Si tratta di meccanismi che spingono il giovane utente a cercare stimolazioni sempre più rapide e gratificanti.
Tale situazione diventa estremamente preoccupante quando si osservano i numeri di cui stiamo parlando.
 Il numero di utenti minorenni utilizzatori di queste piattaforme è autonomamente sufficiente a dimostrare l’estensione di questo fenomeno e la necessità di intervenire a riguardo.
Il numero di utenti minorenni utilizzatori di queste piattaforme è autonomamente sufficiente a dimostrare l’estensione di questo fenomeno e la necessità di intervenire a riguardo.
Lo spirito che anima questa class action non è di demonizzazione delle nuove tecnologie, ma di regolarizzazione di queste ultime, nel rispetto delle leggi vigenti, al fine di garantire un utilizzo sicuro specialmente per i soggetti più influenzabili come i minori. Questo si riscontra anche nella recentissima legge italiana in materia di intelligenza artificiale (l. n. 132/2025) che ribadisce come l’utilizzo di queste nuove tecnologie debba comunque muoversi in una “dimensione antropocentrica” e che quindi non promuova un rischio o vada discapito dell’utente e della sua salute. Sempre in tema di IA e chatbot, indubbiamente il nuovo fronte tecnologico, preme segnalare la forte opinione del Garante della Privacy, Agostino Ghiglia, che provocatoriamente si interroga su quale sia il limite di regolarizzazione di taluni sistemi tecnologici e quando invece l’unica soluzione logica diventi il blocco totale. Sebbene il tema dell’intelligenza artificiale non sia al centro dell’iniziativa, i punti di contatto sono evidenti. Serve che venga concretamente verificata l’età degli utenti di queste piattaforme e parallelamente che si vadano ad eliminare tutti quei sistemi algoritmici additivi nocivi per la salute dei teenager di età superiore ai 13 anni e dei giovani adulti, ovvero coloro che possono legalmente possedere un profilo social.
Se vuoi approfondire questa iniziativa, visita il sito dedicato: www.classactionsocial.it.


