Influencer: la fine del far west!

Influencer: la fine del Far West!

di Stefano Maria Commodo

La vicenda Ferragni-Balocco ha portato in evidenza un fenomeno ben consolidato da anni, ma sino ad ora poco conosciuto in particolare per i grandi interessi economici che coinvolge e per lo strapotere di questo nuovo protagonista della comunicazione pubblicitaria, appunto l’influencer.

La lettura del documento dell’Authority (link) che ha sanzionato la condotta della Balocco e della Ferragni – in particolare delle società Fenice e TBS-Crew tramite le quali la Ferragni opera sul mercato – è molto utile per comprendere come l’influencer abbia ormai assunto un potere tale nei confronti delle stesse imprese, che cercano tramite il loro “aiutino” di sostenere commercialmente i prodotti, da imporre le proprie metodiche di comunicazione. Sull’argomento chi scrive ha rilasciato una breve intervista al quotidiano TorinoCronacaQui (link all’intervista), sottolineando in particolare la capacità dell’influencer di spingere il consumatore a scelte attraverso meccanismi emozionali e strumentalizzando la naturale condotta solidaristica della persona umana. Il tema è già noto anche per quanto riguarda l’utilizzo scorretto degli ESG nella comunicazione commerciale: un fenomeno molto poco trasparente, che è stato definito “greenwashing”.

In quella intervista sollecitavo l’intervento tempestivo del legislatore, poiché non si poteva lasciar crescere senza regole un fenomeno capace di muovere interessi milionari (per ogni campagna!)

E tempestivamente il legislatore ha affrontato l’argomento nel Consiglio dei Ministri del 25 gennaio scorso, approvando un DDL Beneficenza – subito però ribattezzato “DDL Ferragni” – con l’obiettivo di colmare il vuoto legislativo, ponendo regole chiare alla comunicazione pubblicitaria, in particolare nei casi in cui si crea un collegamento tra le vendite ed uno scopo benefico.

Vediamo, in sintesi, cosa prevede il DDL, che ora dovrà passare al vaglio delle Camere.

Ogni volta che un prodotto verrà messo in commercio collegato ad un fine benefico, le confezioni del prodotto dovranno riportare chiaramente: il soggetto che riceverà i proventi destinati alla beneficenza, con l’indicazione delle finalità di tali proventi, che andranno subito quantificati quando predeterminati, ovvero andrà precisata la quota percentuale del prezzo di vendita o l’importo per ogni unità di prodotto destinato alla beneficenza.

Prima di porre in vendita i prodotti il produttore e il testimonial (o anche l’influencer) dovranno comunicare all’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato) il soggetto destinatario della beneficenza, nonché la finalità dei proventi raccolti, nonché l’importo complessivamente destinato (anche se in termini di quota percentuale o di importo per singola unità di prodotto venduto), precisando quando l’importo verrà effettivamente versato e devoluto a scopo di beneficenza.

Il produttore e l’influencer dovranno poi, obbligatoriamente, comunicare all’AGCM – entro tre mesi dal termine previsto per la devoluzione delle somme in beneficenza – di aver effettivamente destinato l’importo alla beneficenza.

Il DDL prevede anche controlli e sanzioni: l’AGCM può irrogare sanzioni in caso di violazione degli obblighi di comunicazione, pubblicando sul proprio sito internet, nonché su uno o più quotidiani e a mezzo di altro mezzo, l’applicazione dei provvedimenti sanzionatori nei confronti del produttore e del testimonial pubblicitario inadempienti. La multa da parte dell’AGCM, ovvero la sanzione amministrativa, si aggirerà tra i 5.000 e i 50.000 euro e determinata in base “al prezzo di listino di ciascun prodotto e al numero delle unità poste in vendita”. Nei casi di particolare gravità, la sanzione potrà essere aumentata sino a due terzi (ovvero nei casi più lievi diminuita fino a due terzi), mentre nel caso di reiterazione della violazione, l’Autorità potrà disporre la sospensione delle attività da 1 mese e fino a 1 anno.

E’ ora auspicabile che il disegno di legge diventi rapidamente norma in vigore a tutti gli effetti, poiché è fondamentale porre regole a tutela dei consumatori e del mercato in generale, anche se sarebbe stato auspicabile che invece di provocare l’intervento dello “Stato Carabiniere” gli influencer e le imprese avessero avuto la capacità e la sensibilità di imporsi liberamente un codice di autodisciplina, simile a quello adottato dalle principali società di comunicazione e creatività pubblicitaria.

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