Indennizzo per le vittime di reati violenti,
quando la legge è una presa in giro

di Gaetano Catalano

La direttiva Europea CE/2004/80 imponeva a tutti gli Stati membri di dotarsi di un sistema che prevedesse l’erogazione di un indennizzo equo ed adeguato per tutte le vittime di reati intenzionali violenti commessi sui propri territori nazionali: lo scopo di tale norma sovranazionale era, tra gli altri, quello di garantire la sicurezza e la libertà di spostamento su tutto il suolo europeo dei cittadini dell’unione.

La nostra Repubblica non ha mai ottemperato a tale obbligo e pertanto la Commissione Europea ha promosso nei confronti dell’Italia una procedura di infrazione tuttora pendente dinanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. In tale contesto il Parlamento, conscio della propria ineluttabile soccombenza dell’Italia nel citato procedimento in sede europea, ha deciso di procedere con la legge in oggetto che avrebbe potuto (rectius dovuto) adeguare l’Italia, anche se con “solo” 12 anni di ritardo, ai precetti della direttiva europea: già ad una prima lettura però si può affermare senza tema di smentita che il Legislatore abbia cercato dolosamente e furbescamente di aggirare i propri obblighi solidaristici nei confronti dei cittadini propri e stranieri (la norma vale per tutti i cittadini europei che abbiano subito un reato intenzionale violento in Italia), prevedendo una serie di condizioni che rendono particolarmente arduo, lungo ed oneroso, ai confini del sostanzialmente impossibile, l’accesso a tale indennizzo.Tali condizioni imposte dalla normativa italiana e non previste nella Direttiva comportano sostanzialmente un suo recepimento meramente formale, ma la sua più totale negazione sostanziale.

La prima di queste condizioni che riduce in maniera abnorme quanto illegittima la possibile platea dei beneficiari  riguarda il requisito soggettivo del reddito annuo della vittima che non deve superare quello previsto per l’ammissione al patrocinio dello Stato (€ 11.528,41). Si tratta di una soglia sostanzialmente di povertà, che esclude dalla possibilità di richiedere un indennizzo la stragrande maggioranza dei cittadini italiani ed europei: ergo solo i cittadini in condizioni economiche più svantaggiose dovrebbero aver diritto all’indennizzo, ma ciò è in aperto contrasto con la finalità della direttiva di garantire la libera e sicura circolazione di tutti i cittadini europei e quindi a prescindere da qualunque distinzione di reddito.

Una seconda condizione di accesso al risarcimento impone che la vittima non abbia percepito alcuna somma da soggetti pubblici o privati per lo stesso fatto di reato: si tratta evidentemente di una ulteriore enorme riduzione della platea dei possibili soggetti destinatari dell’indennizzo in quanto chiunque sia beneficiario di una polizza di assicurazione che preveda un indennizzo per il medesimo fatto di reato non potrà accedervi. E ciò senza considerare che spesso chi ha subito delle lesioni gravi o gravissime (le uniche che danno accesso all’indennizzo) o che abbia perduto uno stretto famigliare accede a benefici solidaristici pubblici da enti quale INPS e INAIL.

Una terza condizione in aperto contrasto con il contenuto della direttiva riguarda poi il contenuto dell’indennizzo che, salvo il caso di omicidio o di violenza sessuale, sarà limitato alla refusione delle sole spese mediche. Il che vorrà dire che, ad esempio, soggetti ridotti alla tetraplegia da un reato intenzionale violento non potranno accedere ad alcun indennizzo in quanto salvo rarissimi casi le cure in situazione del genere sono a carico del SSN: di fatto anche sotto tale prospettiva, si sono totalmente negati, nuovamente, quelli che erano i diritti indennitari previsti dalla direttiva.

Una ulteriore ed estremamente grave limitazione, posta sempre quale condizione necessaria per l’accesso all’indennizzo, è quella che impone ai beneficiari di esperire nei confronti del reo un’azione esecutiva per cercare di ottenere il ristoro del danno: in altre parole si pone a carico della vittima di sopportare le spese ed attendere i tempi dell’azione esecutiva che deve essere infruttuosa al fine, salvo il caso di morte o violenza carnale, di vedersi risarcite le spese mediche sostenute. Anche in questo caso è stato violentato lo spirito della direttiva che invece voleva sgravare il cittadino da tutte le difficoltà connesse al risarcimento del danno e che proprio in tale ottica onerava gli Stati di onere solidaristico di un “indennizzo” che per definizione è meno oneroso del “risarcimento” .

Il poco spazio a disposizione non permette, in questa sede, una più ampia elencazione dei vizi di questa norma che certamente non si esauriscono con quelli già citati, ma permette serenamente di affermare che il nostro Legislatore, dolosamente e con chiari intenti di risparmio, ha disatteso il contenuto della normativa europea alla quale doveva attenersi, promulgando una legge che impedisce di accedere all’indennizzo alla stragrande maggioranza dei cittadini vittime di reati intenzionali violenti perpetrati sul suolo italico e lo rende palesemente antieconomico per tutti gli altri, all’infuori, forse, dei casi di omicidio e violenza carnale per i quali non è ancora dato sapere a quanto ammonterà l’indennizzo.

A chi scrive pare un inganno rubricare l’art. 11 della legge 122/2016 come “Diritto all’indennizzo in favore delle vittime di reati intenzionali violenti, in attuazione della direttiva 2004/80/CE” salvo poi nel testo  della norma rendere concretamente inapplicabile per i cittadini qualsivoglia diritto indennitario stabilito dalla norma  europea. Mala tempora currunt se il detto “fatta la legge (europea) trovato l’inganno” non si riferisce più solo a qualche furbesco cittadino ma diviene anche il motto del Legislatore Italiano.

Prima di concludere pare necessario accennare seppur in maniera estremamente sintetica sull’impatto che questa norma potrà avere in sede di contenzioso giudiziale, che non potrà che ricevere nuovo impulso. Da un lato infatti non potrà che agevolare la posizione delle vittime che abbiano dei giudizi in corso, in quanto ammette espressamente che l’Italia non aveva sino ad ora, mai recepito integralmente la Direttiva CE/2004/80, e confessando dunque il proprio inadempimento.Dall’altro però non potrà avere alcun effetto deflattivo dei futuri giudizi in quanto tale norma si pone in netto contrasto per tutti i motivi già sopraesposti dei principi fondanti la Direttiva limitando l’accesso all’indennizzo in maniera così violenta da renderlo praticamente utopistico per tutti i cittadini che volessero richiederlo. In tale situazione quindi non resterà altro che continuare ad agire giudizialmente nei confronti dello Stato Italiano per non aver correttamente recepito, o meglio per aver recepito in maniera errata le norme sovranazionali e chiedendo pertanto che tale norma non venga applicata.

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