Il nostro ordinamento riconosce l’importanza del rapporto nonno-nipote e lo tutela dal punto di vista legale attraverso l’articolo 317 bis, comma 1, del Codice civile, il quale sancisce il diritto degli ascendenti a mantenere rapporti significativi con i propri nipoti e prevede che qualora l’esercizio di tale diritto venga impedito, i nonni possano ricorrere al giudice affinché vengano adottati i provvedimenti più idonei nell’esclusivo interesse del minore.
Per il nostro ordinamento, quindi, l’instaurazione ed il mantenimento di una relazione affettiva tra il minore ed i propri nonni risulta di primaria importanza per la buona crescita ed il sano sviluppo del primo e per tale ragione detto rapporto viene garantito anche in quei casi in cui, ad esempio, la conflittualità tra i genitori o tra questi ed i nonni rischierebbe di comprometterlo, arrecando pregiudizi ai figli/nipoti.
Innumerevoli sono pertanto le pronunce giurisprudenziali intervenute a favore dei nonni. È il caso, ad esempio, dell’ordinanza n. 21895/2022 della Corte di Cassazione con la quale è stata dichiarata ammissibile la richiesta avanzata da un nonno paterno nei confronti della madre della nipotina, di poter avere e mantenere rapporti con la bimba nonostante il conflitto in essere tra loro ed ha respinto il ricorso della donna che chiedeva l’interruzione dei rapporti. Il procedimento traeva origine dal decreto del Tribunale per i Minorenni che pur dando atto della latente conflittualità esistente fra il nonno da un lato ed i genitori della minore dall’altro, disponeva che il primo, eventualmente insieme alla nonna, potesse incontrare la nipote una volta alla settimana per due ore pomeridiane e che venisse offerto un percorso di sostegno sia al ruolo del nonno che alla genitorialità.
La madre della piccola ricorreva quindi in Cassazione – ritenendo che fossero state valorizzate la caratteristiche personologiche (ex carabiniere) del nonno ma sottovalutata l’elevatissima conflittualità all’interno dell’ambiente familiare – vedendosi però respingere il ricorso dagli Ermellini i quali, ritenute insussistenti le doglianze della donna, ricordavano che il legame instaurato tra i nonni ed i nipoti deve essere salvaguardato in nome del superiore interesse del minore, con ciò richiamando anche le più recenti pronunce della Corte europea che ha più volte ribadito che il legame fra gli ascendenti e i nipoti rientra nella nozione di vita familiare ai sensi dell’art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e rappresenta un legame da tutelare e preservare attraverso misure idonee.
Il diritto degli ascendenti a mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni, tuttavia, non ha valore assoluto e incondizionato, essendo il suo esercizio, come visto, subordinato all’esclusivo interesse del minore, che deve essere di volta in volta vagliato dal Giudice affinché verifichi che tale frequentazione sia finalizzata ad assicurare un sano ed equilibrato sviluppo della personalità del nipote.
Ed infatti, se da un lato, come sopra visto, innumerevoli sono le pronunce di merito e di legittimità a favore degli ascendenti, numerose sono anche quelle che hanno negato il diritto di visita dei nonni, in ragione del prevalente interesse del nipote.
Ultima pronuncia in tal senso è arrivata da parte della Corte di Cassazione con la sentenza 2881/2023 con la quale è stato accolto il ricorso presentato dai genitori di due minori – soccombenti in entrambi i precedenti gradi di giudizio – che intendevano impedire la prosecuzione dei contatti tra i propri figli ed i nonni e lo zio paterni, in quanto ritenuti pregiudizievoli per i minori.
Nella vicenda esaminata dalla Suprema Corte, gli stessi servizi sociali avevano constatato l’impossibilità di provvedere alla mediazione familiare a causa dell’irrisolvibile conflittualità tra gli adulti ed in primo grado il Tribunale aveva disposto che gli incontri con i nonni e lo zio paterni avvenissero alla presenza di un educatore, anche considerato il rifiuto agli incontri da parte di uno dei minori. Sulla stessa linea, in secondo grado la Corte di Appello aveva ritenuto che occorresse “far maturare nei genitori la consapevolezza del danno psichico cui espongono i loro figli, costretti a vivere privati degli affetti che potrebbero arricchirli, in un clima indotto di paura e di rancore persistente che certamente è di pregiudizio per una armoniosa crescita psichica dei bambini” ed incaricava i servizi sociali “a vigilare sulla situazione dei due bambini e a regolamentare i loro incontri con i nonni e lo zio paterni”. In conclusione, dato anche che i nonni e lo zio paterni erano stati descritti dai consulenti come “legati ai nipoti” la Corte d’Appello riteneva che “non sussisteva un reale pregiudizio per i bambini nel passare del tempo con i nonni e lo zio”.
Di tutt’altro avviso la Suprema Corte adita dai genitori dei minori, la quale, al contrario, ha posto più volte l’attenzione sul prevalente ed assoluto interesse del minore, sottolineando come “…le questioni concernenti le modalità con cui riconoscere il diritto degli ascendenti a mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni devono essere risolte alla luce del primario interesse del minore…” che ”…deve costituire la considerazione determinante e, a seconda della propria natura e gravità, può prevalere su quello dei genitori o degli altri familiari”. Non basta quindi “l’insussistenza di un reale pregiudizio nel passare del tempo con nonni e zio” per imporre la frequentazione ma occorre semmai verificare se gli ascendenti sono in grado “di prendere fruttuosamente parte attiva alla vita dei nipoti attraverso la costruzione di un rapporto relazionale e affettivo e in maniera tale da favorire il sano ed equilibrato sviluppo della loro personalità”. Qualora vi siano conflittualità tra gli adulti che si ripercuotono sui minori, obiettivo del giudice è dunque quello di verificare “…se si possa in qualche modo attuare una cooperazione fra gli adulti partecipanti alla comunità parentale nella realizzazione del progetto educativo e formativo del bambino, determinare le concrete modalità di questa necessaria collaborazione, tenendo conto dei differenti ruoli educativi, e stabilire, di conseguenza i sistemi più proficui di frequentazione e le più opportune modalità di organizzazione degli incontri”, ma in ogni caso “il mantenimento di rapporti significativi…non può essere assicurato tramite la costrizione del bambino, attraverso un’imposizione manu militari di una relazione sgradita e non voluta, cosicché nessuna frequentazione può essere disposta a dispetto della volontà manifestata da un minore che abbia compiuto i dodici anni o che comunque risulti capace di discernimento”.
Sentenza impugnata quindi cassata e rinviata al giudice precedente affinché si attenga ai principi espressi.
In definitiva, insomma, la Suprema Corte ha sancito ancora una volta la centralità dell’interesse esclusivo del minore, interesse che prevale sempre e comunque.