DIRITTO ALL’OBLIO; COME E QUANDO SPARIRE DAL WEB

di Edoardo Maria Commodo

Volenti o nolenti, i nostri dati ora si trovano in rete. Vuoi per aver rilasciato i riferimenti mentre ci abbonavamo alla classica rivista online o dopo essere stati immortalati in una foto da un amico. Qualunque sia la ragione, l’unica certezza è che questi verranno poi diffusi, pubblicati, postati, caricati, inviati e via dicendo.

L’attenzione deve a questo punto rivolgersi sull’ormai incontrollato aumento dei mezzi di comunicazione in quanto, non solo TV e giornali ma, ovviamente, anche internet insieme agli innumerevoli social network, raggiungono infatti un’estensione che non conosce più limiti, soggettivi, territoriali, temporali.

È proprio su tale ultimo aspetto che intendiamo focalizzarci in questo articolo. Per quanto tempo una notizia che riteniamo lesiva della nostra reputazione e che, rimanendo in rete, continua ad avere riverberi negativi sulla nostra immagine può restare accessibile?

È quando ci si pone queste domande che subentra un diritto che risponde all’esigenza di tutela dell’identità delle persone coinvolte, che garantisce la possibilità di vedersi dimenticare quando non si ha più nessuna intenzione di essere ricordati, il diritto all’oblio.

Quest’ultimo deve inquadrarsi quale una delle molteplici espressioni del sempre attuale diritto alla Privacy, esercitabile attraverso la facoltà di far cancellare tutti quei contenuti che possono costituire un precedente pregiudizievole per la reputazione di una persona.

Il diritto di cui parliamo è oggi attualissimo in quanto al centro di un ampio dibattito legislativo e giurisprudenziale volto ad attribuirgli una reale funzione ed operatività anche nell’era di internet.

Nel secolo precedente, e quindi prima della nascita del World Wide Web, l’esercizio del diritto all’oblio era pressoché naturale e ciclico in quanto, sostanzialmente, le notizie potenzialmente lesive venivano diffuse in zone molto circoscritte ed attraverso la pubblicazione sui giornali locali. In pochi giorni quindi, la propria immagine, già di per sé intaccata in maniera spesso residuale, avrebbe riassunto il proprio lustro, venendo il giornale del caso facilmente cestinato od impiegato nelle sue classiche funzioni alternative.

A qualche anno di distanza ci troviamo invece nella situazione diametralmente opposta; le notizie sono di dominio pubblico e si diffondono senza limiti. L’elemento di maggior rischio deve inoltre considerarsi la perpetuità della notizia in quanto, una volta diffusa, diviene pressoché impossibile da rimuovere.

Come possiamo quindi oggi, alla luce di tutte le difficoltà e complicanze rappresentate, considerata la vastità della rete ed il numero indeterminabile dei suoi utenti, raggiungere una reale tutela di tale diritto? Come possiamo esercitarlo, chiedendo ed ottenendo la rimozione di contenuti per noi dannosi?

La risposta a queste domande passa attraverso la piena comprensione del diritto soggettivo in esame e di come questo si ponga in rapporto all’epoca digitale nella quale viviamo.

Come citato in precedenza, Il diritto all’oblio fa riferimento ai dati personali. Alla luce delle recenti novità normative, tutti siamo ormai al corrente che, quando altri trattano i nostri dati o ne hanno la disponibilità (anche nomi, foto, video…), per qualsiasi loro utilizzo è necessaria una base giuridica valida (che sia il consenso o meno) coniugata ad una finalità legittima specifica.

Questo concetto racchiude tutti gli aspetti problematici che da sempre si sono contrapposti ad un esercizio semplice ed immediato del diritto ad essere dimenticati, in quanto quest’ultimo si contrappone al diritto di cronaca od al diritto di informazione che prevale sulla riservatezza. Il diritto all’oblio si esprime quindi solamente quando sarà venuto meno l’interesse pubblico racchiuso nell’informazione o notizia in questione, oggetto della richiesta di cancellazione.

Ma in caso di notizia caricata su internet il quadro cambia, il bilanciamento di cui sopra, non potrà che scontrarsi con un ulteriore elemento, ovvero la potenziale immortalità della notizia che rimarrà sempre a disposizione degli utenti e reperibile attraverso i motori di ricerca più noti.

Su internet, procedere con la richiesta di cancellazione al “proprietario” del sito, ottenendone la conseguente rimozione quasi mai assume caratteri solutori. Non è infatti possibile avere piena contezza del numero di siti sui quali la notizia in esame e stata condivisa, di quanti e quali users l’abbiano ricaricata sui propri blog, siti, quotidiani digitali o profili.

Il nostro Paese è stato tra i primi ad occuparsi di questo delicato argomento, della tutela del diritto all’oblio rispetto a notizie caricate sul web, e nei primi anni del 2000’ il Garante per la protezione dei dati personali distingueva – appunto – l’apparizione e permanenza di un contenuto su un sito rispetto alla sua reperibilità tramite i motori di ricerca, attribuendo definitivamente al titolare del sito internet la responsabilità di gestione del proprio “indirizzo” affinché tali notizie non risultassero più reperibili tramite motore di ricerca una volta venuta meno la componente di attualità della stessa.

È con il GDPR (Reg. UE 2016/679), in vigore dal 2018, che il diritto all’oblio assume il suo definitivo riconoscimento legislativo, introducendo all’art. 17 dettagliate circostanze in cui deve trovare pacifica applicazione, valicando altresì l’unica fattispecie “standard” della pubblicazione di notizie. Il recente Regolamento Europeo si pronuncia anche in riferimento al diritto all’oblio contrapponendolo, come sempre, al diritto di informazione e stabilendo che il diritto alla cancellazione dei dati non può essere esercitato qualora tali dati siano necessari per l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione.

In buona sostanza, la normativa vigente prevede in capo al soggetto – persona fisica – interessato il diritto di richiedere al titolare del trattamento, e quindi al proprietario o gestore del sito internet, la cancellazione dei propri dati qualora sia terminata la funzione per i quali sono stati raccolti o quando sia venuto meno il carattere “informativo” e di interesse pubblico della notizia.

Sebbene la cancellazione eseguita da parte del sito in cui appare la notizia o l’immagine incriminata possa ritenersi un forte di strumento tutela, allo stesso tempo non sempre può definirsi efficace o risolutivo. Non ci si riferisce soltanto alla potenziale diffusione della notizia che certamente non scomparirà magicamente da Internet, ma soprattutto al fatto che per ottenere la cancellazione questa dovrà ritenersi prevalente rispetto al diritto di cronaca e di informazione.

Considerando che chiunque nell’arco degli anni, per una molteplicità di ragioni e motivi, possa aver bisogno di rileggere tale notizia, una vera e propria prevalenza del diritto all’oblio rispetto al diritto di informazione, forse, non la si otterrà mai.

Questo concetto è infatti stato confermato dal Garante della Privacy che ha negato il diritto alla cancellazione dei dati dagli archivi dei giornali di news in virtù proprio dell’utilità sociale nel tempo e del loro valore storico. Il Garante quindi ritiene tutelato e soddisfatto il diritto all’oblio non con la definitiva cancellazione dei dati ma rendendo questi ultimi reperibili alle sole persone che vi abbiano reale interesse.

E’ stata la Corte di Giustizia Europea nel 2014 ad individuare un’idonea soluzione per mettere in pratica l’esercizio del diritto all’oblio, dedicandosi proprio al delicato argomento della reperibilità dei dati attraverso i motori di ricerca ed obbligando in una sua pronuncia il primo motore di ricerca del mondo “Google” alla “rimozione” di quei contenuti per cui è cessata la finalità di interesse pubblico all’informazione.

Lo strumento che riguarda Google non deve considerarsi una vera e propria cancellazione ma una deindicizzazione.

Google infatti non ha modo di cancellare i dati di un particolare soggetto in relazione ad una determinata notizia da tutti i siti in cui questi appaiono, ma potrà invece far sì che il proprio indice ometta di associare quei dati all’informazione oggetto di censura.

Pertanto, posto che dopo un certo periodo il diritto all’informazione scema fino a perdere rilevanza, solo in quel momento l’interessato potrà richiedere a Google – od al motore di ricerca interessato – la deindicizzazione dell’articolo o della foto in cui viene raffigurato, facendoli scomparire dal motore di ricerca.

Ricordiamo che il diritto alla deindicizzazione non è sinonimo di diritto alla cancellazione dei dati ma si affianca ad esso, rappresentando un ulteriore strumento di tutela.

Le notizie su internet, la velocità con cui si diffondono, la loro estensione, possono provocare in capo ad una persona gravissime ripercussioni personali e professionali. Avere una consapevolezza completa degli strumenti di tutela dei propri diritti, la tempestività d’intervento e l’individuazione del giusto professionista al quale rivolgersi in questi casi è di fondamentale importanza al fine di circoscrivere i danni patiti da chi rimane coinvolto in spiacevoli situazioni come quelle sopradescritte che, come ben sappiamo, sono ormai sempre più frequenti.

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