Nell’individuare i soggetti aventi diritto al risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale, la più recente giurisprudenza è andata oltre il mero vincolo di sangue e la convivenza con il de cuius, che non assurgono più a requisiti imprescindibili per richiedere tale voce di danno, riconosciuta, infatti, anche a favore di chi possa dimostrare un forte e duraturo legame affettivo con la vittima.
Sul tema è di recente intervenuta la Corte di Cassazione Civile, sez. III, con ordinanza n. 24689 del 05.11.2020, che, ribadendo i principi già contenuti in altre precedenti pronunce della Suprema Corte, ha così statuito: “La giurisprudenza di questa Corte (cfr. tra le pronunce più recenti: Cass. 11/11/2019, n. 28989; Cass. 08/04/2020, n. 774) dimostra la ferma convinzione che il danno derivante dalla sofferenza per la morte ex delicto del congiunto non è rigorosamente circoscritto ai familiari con lui conviventi al momento del decesso, che la cessazione della convivenza non è elemento indiziario a sorreggere da solo la congettura di un automatico allentamento della comunione spirituale tra congiunti (fratelli e sorelle), con conseguente riduzione della sofferenza dei superstiti a livelli immeritevoli di apprezzamento giuridico, che il rapporto di convivenza, pur costituendo elemento probatorio utile a dimostrarne l’ampiezza e la profondità, non assurge a connotato minimo di esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto, escludendoli automaticamente, in caso di insussistenza dello stesso”.
Con tale pronuncia, la Corte di Cassazione pone principalmente in evidenza i seguenti due aspetti:
1) il vincolo di sangue non è un elemento imprescindibile ai fini del riconoscimento del danno da perdita del rapporto parentale, “dovendo esso essere riconosciuto in relazione a qualsiasi tipo di rapporto che abbia le caratteristiche di una stabile relazione affettiva, indipendentemente dalla circostanza che il rapporto sia intrattenuto con un parente di sangue o con un soggetto che non sia legato da un vincolo di consanguineità naturale, ma che ha con il danneggiato analoga relazione di affetto, di consuetudine di vita e di abitudini, e che infonda nel danneggiato quel sentimento di protezione e di sicurezza”.
2) la convivenza con il de cuius costituisce unicamente uno dei plurimi elementi atti a dimostrare l’esistenza del rapporto sentimentale leso, potendo al più impattare sulla quantificazione del risarcimento del danno.
Il responsabile civile che ha cagionato la morte di un soggetto deve quindi risarcire chiunque sia legato con la vittima da un solido e duraturo legame affettivo, anche qualora non si tratti di un familiare convivente. La recente giurisprudenza ha, infatti, esteso il diritto ad ottenere il risarcimento anche ai familiari o ai partner non conviventi, purché legati da un rapporto affettivo molto forte e stabile, tale da far presumere che la morte prematura del congiunto abbia per loro comportato una profonda sofferenza morale. Dunque, al fine di individuare i soggetti aventi titolo a richiedere il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale, se da un lato non basta un legame di sangue con la vittima, dall’altro lato non è neanche necessaria la convivenza: ed infatti, nel caso trattato dalla sopra citata sentenza, i Giudici di legittimità affermano come anche il fratello unilaterale (cioè non germano) – che peraltro non abitava con il fratello defunto – abbia diritto ad essere risarcito, a condizione che venga provata una comunione di affetti ed una relazione forte che comporti una sofferenza altrettanto forte.
Tali principi giurisprudenziali, che, come visto, sono stati ancora di recente ribaditi dalla Suprema Corte, offrono la possibilità di ottenere un giusto ristoro anche a quei soggetti che non sono espressamente riconosciuti quali aventi diritto dalle note Tabelle di Milano, ormai abitualmente adottate dalla maggior parte dei Tribunali italiani (ovvero genitori, coniuge, figli o nonni della vittima).
Si pensi, a titolo esemplificativo, ai nipoti che perdono il nonno a causa di un sinistro stradale: tali soggetti sono meritevoli di tutela e di ristoro, anche laddove non conviventi con la vittima primaria: “non essendo condivisibile limitare la “società naturale”, cui fa riferimento l’articolo 29 cost., all’ambito ristretto della sola cd. “famiglia nucleare”, il rapporto nonni-nipoti non può essere ancorato alla convivenza, per essere ritenuto giuridicamente qualificato e rilevante, escludendo automaticamente, nel caso di non sussistenza della stessa, la possibilità per tali congiunti di provare in concreto l’esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto (precedente conforme Cass. Civ. 21230 del 2016)” (così Corte di Cassazione, Sez. III, sentenza n. 29332 del 07.12.2017).
Non solo: la giurisprudenza ha ritenuto di riconoscere il diritto al risarcimento del danno da perdita parentale anche a chi non aveva un legame di sangue con la vittima, e neppure conviva con la stessa. È il caso deciso dal Tribunale Civile di Firenze, Sez. II, sentenza n. 1011 del 25.03.2015, che ha ammesso il diritto al risarcimento del danno anche in capo alla fidanzata non convivente della vittima, evidenziando come la Suprema Corte, già con la sentenza n. 7128/2013, avesse chiarito che per “convivenza” non deve intendersi la sola situazione di coabitazione tra prossimo congiunto e vittima primaria di un illecito, quanto piuttosto lo stabile legame tra due persone connotato da duratura e significativa comunanza di vita e di affetti. Si tratta di due precedenti risalenti, ma che hanno utilizzato principi di diritto tuttora applicabili.
Dunque, sulla scia dei principi giurisprudenziali sopra richiamati, si ritiene che chiunque possa dimostrare un saldo e duraturo legame affettivo con la vittima, a prescindere sia dal grado di parentela sia dalla convivenza, abbia titolo per richiedere il risarcimento dei danni per la morte del proprio caro.