DANNO DA LESIONE DEL DIRITTO ALL’AUTO-
DETERMINAZIONE PER MANCANZA – CARENZA CONSENSO INFORMATO

di Angelica Marchese

L’istituto del “consenso informato” in ambito sanitario è l’approdo a cui si è giunti a seguito di un percorso giurisprudenziale e dottrinale, durato circa 30 anni, volto alla ricerca del bilanciamento tra gli obblighi informativi gravanti sul sanitario e la tutela dell’autodeterminazione e della salute del paziente.

I Giudici di legittimità, che hanno contribuito alla creazione ed alla cristallizzazione del “diritto al consenso informato”, inteso quale “espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico”, alla base delle proprie decisioni[1] hanno sempre posto i principi contenuti negli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione, nonché in molteplici norme internazionali[2] e nazionali[3].

Ai fini del risarcimento per la lesione di tale diritto, la giurisprudenza ha sempre ritenuto necessario l’allegazione e la dimostrazione del danno da parte del paziente, mentre la prova del consenso sarebbe spettata al medico-sanitario. Circa i criteri di liquidazione, si riteneva necessario il riferimento al principio di equità. Tale interpretazione è stata in parte assorbita dalla legge Balduzzi (legge 189/2012) prima e dalla legge Gelli Bianco (legge 24/2017) poi, che avevano dettato, per via normativa, i criteri di liquidazione del danno non patrimoniale facendo riferimento anche alle disposizioni di cui agli art. 2056 e 1226 c.c.

A fronte di una complessa evoluzione giurisprudenziale, è intervenuto il legislatore con la legge n. 219 del 22.12.2017, con la quale ha disciplinato per la prima volta in modo organico il consenso informato.

All’art. 1 della legge 219/2017 si legge “La presente legge, nel rispetto dei principi di cui agli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione e degli articoli 1, 2 e 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea […] stabilisce che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge…3. Ogni persona ha il diritto di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo completo, aggiornato e a lei comprensibile riguardo alla diagnosi, alla prognosi, ai benefici e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonché riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell’eventuale rifiuto del trattamento sanitario e dell’accertamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi”.

Circa le modalità di informazione, la legge non prevede una forma specifica attraverso cui devono essere adempiuti tali obblighi. Pertanto, sembra valere ancora il principio di libertà delle forme, purché l’informazione sia completa ed adeguata alle condizioni del paziente.

Il consenso invece deve essere necessariamente prestato in forma scritta, attraverso videoregistrazioni o attraverso altri dispostivi che consentono alla persona di comunicare le proprie volontà e di conservarle nel tempo (Cfr. art. 1 comma 4 legge 219/2017). Il consenso così espresso deve essere inserito e conservato all’interno della cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico.

È appena il caso di precisare che la mancata acquisizione del consenso e l’errore nell’intervento medico sono ipotesi ben distinte e fattispecie autonome. In termini pratici, tale distinzione comporta che il risarcimento spettante al paziente è doppio: uno per l’errata esecuzione della prestazione sanitaria, l’altro, ulteriore e autonomo, per l’omesso consenso informato.

A seguito dell’emanazione della predetta legge, la Corte di Cassazione è intervenuta con la pronuncia n. 2895 del 11.11.2019 e, compiendo un grande sforzo nomofilattico, ha riassunto gli aspetti principali di questo tipo di danno.

In primo luogo, la Corte ribadisce che la manifestazione del consenso alla prestazione sanitaria costituisce esercizio di un autonomo diritto soggettivo all’autodeterminazione distinto dal diritto alla salute, benché a quest’ultimo connesso, e che trova fondamento negli artt. 2, 13 e 32 Cost.

Detto altrimenti, la violazione del dovere di informare può causare o un danno alla salute, quando il paziente correttamente informato avrebbe rifiutato di sottoporsi all’intervento, oppure un danno “da lesione del diritto all’autodeterminazione”, se per la mancanza di informazione il paziente abbia subito un pregiudizio diverso da quello alla salute.

Secondo la Suprema corte, possono articolarsi cinque situazioni conseguenti a carente od omessa informazione e ad ognuna di queste corrisponde una diversa soluzione della questione relativa ai danni risarcibili. In particolare, con la suindicata pronuncia, la Corte ha affermato che “La violazione, da parte del medico, del dovere di informare il paziente, può causare due diversi tipi di danni: a) un danno alla salute, quando sia ragionevole ritenere che il paziente -sul quale grava il relativo onere probatorio- se correttamente informato, avrebbe rifiutato di sottoporsi all’intervento (onde non subirne le conseguenze invalidanti); b) un danno da lesione del diritto all’autodeterminazione, predicabile se, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio patrimoniale ovvero non patrimoniale (ed in tale ultimo caso, di apprezzabile entità) diverso dalla lesione del diritto alla salute […]. Pertanto, possono prospettarsi le seguenti situazioni conseguenti ad una omessa od insufficiente informazione. A) omessa/insufficiente informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un danno alla salute a causa della condotta colposa del medico, a cui il paziente avrebbe in ogni caso scelto di sottoporsi, nelle medesime condizioni, “hic et nunc”. In tal caso, il risarcimento sarà limitato al solo danno alla salute subito dal paziente, nella sua duplice componente, morale e relazionale; B) omessa/insufficiente informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un danno alla salute a causa della condotta colposa del medico, a cui il paziente avrebbe scelto di non sottoporsi. In tal caso, il risarcimento avrà ad oggetto il diritto alla salute e quello all’autodeterminazione del paziente; C) omessa informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un danno alla salute (inteso anche nel senso di un aggravamento delle condizioni preesistenti) a causa della condotta non colposa del medico, a cui il paziente avrebbe scelto di non sottoporsi. In tal caso il risarcimento sarà liquidato in via equitativa con riferimento alla violazione del diritto alla autodeterminazione, mentre la lesione della salute -da considerarsi comunque in relazione causale con la condotta, poiché, in presenza di adeguata informazione, l’intervento non sarebbe stato eseguito- andrà valutata in relazione alla eventuale situazione “differenziale” tra il maggiore danno biologico conseguente all’intervento ed il preesistente stato patologico invalidante del soggetto; D) omessa informazione in relazione ad un intervento che non abbia cagionato danno alla salute del paziente, cui egli avrebbe comunque scelto di sottoporsi. In tal caso, nessun risarcimento sarà dovuto; E) omissione/inadeguatezza diagnostica che non abbia cagionato danno alla salute del paziente, ma che gli ha tuttavia impedito di accedere a più accurati ed attendibili accertamenti […]: in tal caso, il danno da lesione del diritto, costituzionalmente tutelato, alla autodeterminazione sarà risarcibile […] qualora il paziente alleghi che dalla omessa, inadeguata o insufficiente informazione gli siano comunque derivate conseguenze dannose, di natura non patrimoniale, in termini di sofferenza soggettiva e contrazione della libertà di disporre di se stesso, psichicamente e fisicamente, salva  possibilità di provata contestazione della controparte”.

Si tratta evidentemente di un danno-conseguenza; i pregiudizi patrimoniali e non patrimoniali (questi ultimi devono superare la soglia di normale tollerabilità) che derivino, secondo un nesso di regolarità causale, dalla lesione del diritto all’autodeterminazione devono essere debitamente allegati e provati dal danneggiato e la prova può essere fornita con ogni mezzo, ivi compresi il notorio, le massime di esperienza e le presunzioni, non essendo configurabile un danno risarcibile in re ipsa, derivante esclusivamente dall’omessa informazione (ex multis: Cass. 24471/2020).

A chiusura del cerchio, con riguardo alla quantificazione del danno derivante dal mancato / carente consenso informato in ambito sanitario, è doveroso un breve cenno in merito ai criteri offerti dall’ Osservatorio sulla giustizia civile di Milano che, nel pubblicare la versione aggiornata al 2021 delle “Tabelle in materia di liquidazione del danno non patrimoniale”, distingue quattro ipotesi di danno al diritto all’autodeterminazione, a seconda dell’intensità del vulnus al diritto che è stato in concreto accertato, in base alla ricorrenza di una o più circostanze della fattispecie concreta che attenuano o aggravano il pregiudizio al diritto ad autodeterminarsi in ambito sanitario.

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[1] Tra cui certamente degna di nota Cassazione n. 26972/2008 c.d. “Prima sentenza San Martino”

[2] art. 8 CEDU, art. 24 Convenzione sui diritti del fanciullo, firmata a New York il 20.11.1989, ratificata con L. 27.05.1991 n. 176; art. 5 Convenzione sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina, firmata ad Oviedo il 4.04.1997, ratificata con L. 28.03.2001 n. 145; art. 3 Carta dei diritti fondamentali dell’UE, proclamata a Nizza il 7.12.2000;

[3] art. 3 L. 21.10.2005 n. 219 “Disciplina delle attività trasfusionali e della produzione nazionale degli 69 emoderivati”; art. 6 L. 19.02.2004 n. 40 “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”; art. 33 L. 23.12.1978 n. 833 “Istituzione del servizio sanitario nazionale”

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