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Condonare o non condonare?

di Gregorio Torchia

Il D.P.R. 380/2001 (Testo Unico dell’Edilizia) raccoglie la normativa Urbanistica ed Edilizia del nostro paese, ed oramai, seppur ampiamente integrato da leggi regionali e regolamenti locali, non è più sufficiente a disciplinare la normativa di settore. Ciò è provato dalle numerose pratiche incagliate negli uffici tecnici comunali.

Come se non bastasse, l’abusivismo in Italia è un problema diffuso specialmente in meridione e sulle zone costiere. Basti pensare che secondo i report di Legambiente solo il 15% degli immobili abusivi per cui è stato ordinato l’abbattimento (in totale più di 70.000) vengono poi effettivamente abbattuti.

Tali dati spaventano, poiché si è abituati ad associare l’immobile abusivo all’ecomostro, ma così non è. Talvolta, si tratta di una semplice opera minore o di realizzazioni di fabbricati con lievi difformità dovute ad errori di calcolo in origine, mai regolarizzate. Di conseguenza, nella narrazione pubblica degli anni passati si è parlato spesso di condoni edilizi e/o sanatorie edilizie, con una sorta di pregiudizio causato da una mancata corretta conoscenza del fenomeno. Soprattutto da parte di chi, non operando nel settore, lo ha sempre considerato un premio per i furbetti, quando molto spesso nasce per regolarizzare abusi minori risalenti che rendono indisponibili interi fabbricati e solo raramente salvano eco-mostri.

Nel merito, il condono edilizio è dunque un provvedimento grazie al quale i cittadini possono ottenere l’annullamento di una certa pena o di una sanzione che è derivata dalla commissione di un atto illecito in materia di edilizia ed ha solitamente una durata ed un perimetro limitato.

Il governo alla fine dell’anno scorso aveva aperto alla possibilità di sanare le irregolarità precedenti al 30 gennaio 1977, dunque risalenti. Tuttavia, la proposta ha suscitato moltissime condivisibili critiche e polemiche, sia all’interno della stessa maggioranza di governo che tra le opposizioni politiche, poiché potrebbe avvantaggiare chi commette sistematicamente abusi.

D’altra parte, un altro gruppo di amministratori ed operatori del settore edilizio sostiene che simili condoni, se limitati a difformità minime, siano in realtà un beneficio per i rapporti sociali, consolidando situazioni risalenti e rendendo commerciabili gli immobili coinvolti, con sicuro beneficio per le finanze statali.

D’altronde, anche solo ampliando le potenzialità di quanto disposto dall’articolo 34-bis del D.P.R. 380/2001 che prevede che le tolleranze costruttive ammesse siano nell’ordine del 2%, e dunque riducendo le possibilità che le difformità ulteriori possano essere sottoposte al rischio di ordinanza di demolizione ex art. 31 D.P.R. 380/2001, si potrebbero avere dati più rincuoranti, senza un impatto rilevante sul patrimonio edilizio nazionale.

In un panorama di abusivismo, dove la maggior parte degli abusi sono minori e molto risalenti nel tempo, potrebbe essere coerente con l’interesse pubblico generale quello di regolarizzare situazioni ormai consolidate da anni, in cui vi è una piccola difformità di volumetria, sagoma e/o comunque dimensioni dell’immobile, ovviamente a fronte di un corrispettivo sanzionatorio.

Si potrebbe appunto proporre un aumento delle tolleranze costruttive dal 2% al 10%, almeno per gli abusi risalenti nel tempo. È difficile individuare dei contro ad una modifica in questo senso, anche perché risulta davvero irragionevole – in alternativa – pensare che le amministrazioni possano procedere con decine di migliaia di interventi demolitori.

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