Buoni fruttiferi postali: attenti agli espedienti delle Poste per pagare meno!!

di Alessandro Pascale

Parecchi italiani hanno sottoscritto, anche in epoca risalente, buoni fruttiferi postali, con riportata dietro una tabella degli interessi che legittimamente si aspettavano di vedersi liquidati alla scadenza, ignari però che tale loro legittima aspettativa sarebbe poi stata frustrata da un’applicazione strumentale e scorretta da parte di Poste Italiane della normativa fiscale.

Il Tribunale di Bergamo, con sentenza n. 1390/2020, e il Tribunale di Vicenza, con ordinanza del 18 maggio 2021, hanno condannato Poste Italiane a pagare ai sottoscrittori di buoni postali fruttiferi rispettivamente € 30.118,99 per un singolo buono ed € 11.397,37 per ciascuno di quattro distinti buoni, il tutto perché, in luogo dell’applicazione dell’aliquota del 12,50% degli interessi al momento della liquidazione degli stessi, alla scadenza, venne operata da una trattenuta fiscale pari al 12,50% ogni anno, in modo che la base di calcolo per la capitalizzazione degli interessi venisse individuata al netto dell’imposta del 12,50%.

Tale stratagemma ridusse notevolmente quindi l’importo degli interessi spettanti ai sottoscrittori dei buoni, il tutto in totale spregio della normativa di settore, la quale prevede una capitalizzazione annua degli interessi al lordo della suddetta aliquota.

Ma andiamo con ordine.

Sino al 1986 gli interessi e gli altri frutti dei buoni fruttiferi postali erano esenti da imposizioni fiscali, in quanto la normativa di settore (art. 31 d.p.r. 601/73) prevedeva che fossero esenti dall’imposta sul reddito delle persone fisiche, da quella sul reddito delle persone giuridiche e dall’imposta locale sugli interessi i premi e gli altri frutti del debito pubblico, dei buoni postali di risparmio e delle cartelle di credito comunale e provinciale emesse dalla cassa depositi e prestiti.

Dopo l’emissione dei buoni fruttiferi postali della serie Q, avvenuta con il D.M. 13.06.1986, intervenne il decreto legge n. 556/1986, convertito con modifiche dalla legge 759/1986, che dispose il venire meno dell’esenzione di cui sopra e stabilì una ritenuta d’imposta del 12,50% per le persone fisiche sugli interessi corrisposti ai possessori dei buoni fruttiferi postali.

Intervenne poi il decreto legislativo n. 239 del 1° aprile 1996, che introdusse un’imposta sostitutiva sugli interessi corrisposti ai sottoscrittori di buoni fruttiferi postali, individuando il momento impositivo in quello in cui il reddito viene percepito concretamente dal sottoscrittore.

Poste Italiane operò invece una capitalizzazione annuale degli interessi di volta in volta maturati, al netto dell’imposta sostitutiva del 12,50%, trattenuta ogni anno, non invece al lordo come la normativa prevedeva, anticipatamente quindi il momento impositivo.

Tale utilitaristico comportamento, in totale spregio della normativa di settore, ha drasticamente contenuto l’ammontare degli interessi corrisposti ai sottoscrittori dei buoni fruttiferi postali, i quali si sono visti ridurre ogni anno la base sulla quale calcolare la capitalizzazione degli interessi loro dovuti.

Si confida che presto i principi espressi nelle sentenze di merito sopra citate vengano presto recepiti anche dalla Corte di Cassazione, formando quindi un orientamento consolidato, con l’auspicato risultato di scoraggiare tale iniqua prassi e permettere dunque ai cittadini che avevano investito i propri risparmi nei buoni fruttiferi postali di avere i guadagni su cui avevano legittimamente fatto affidamento e che legittimamente si aspettavano di ottenere.

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