Bail-in: cosa cambia nella gestione delle crisi bancarie

C’è una novità nei rapporti tra i clienti e gli istituti di credito, ancora non molto noto ma tale da imporre un cambio radicale delle attenzioni da porre nella scelta della propria banca.

Il Governo italiano ha infatti recentemente approvato le nuove regole sulla risoluzione delle crisi bancarie, sotto forma di un decreto attuativo della direttiva europea UE 2014/59 per il risanamento e la risoluzione del settore creditizio e degli intermediari finanziari, altrimenti denominata “BRRD” (Bank Recovery and Resolution Directive).

Banca d’Italia è stata designata quale autorità di risoluzione italiana per l’esercizio delle funzioni di risoluzione.

Il ‘bail-in’, il salvataggio delle banche ad opera di azionisti, arriva così anche in Italia: a partire dal primo gennaio 2016, il salvataggio di un istituto di credito non avverrà più con soldi pubblici dello Stato e/o delle banche centrali (come è stato sino a oggi), ma attraverso la riduzione del valore delle azioni e di alcuni crediti (come quelli dei correntisti che abbiano depositato più di 100mila euro) o la loro conversione in azioni, per assorbire le perdite e ricapitalizzare la banca in misura sufficiente a risolvere la crisi e a mantenere la fiducia del mercato.

Per decenni il conto dei dissesti creditizi è stato ripianato dagli Stati, con il ricorso alla fiscalità o ai Fondi di garanzia, come avvenuto in molti casi anche in Europa dopo il crack di Lehman Brothers: secondo Eurostat, a fine 2013 gli aiuti ai sistemi creditizi nazionali per reggere l’urto della crisi finanziaria globale avevano accresciuto il debito pubblico di quasi 250 miliardi in Germania, quasi 60 in Spagna, 50 in Irlanda e nei Paesi Bassi, poco più di 40 in Grecia, 19 circa in Belgio e Austria e quasi 18 in Portogallo. In Italia il sostegno pubblico è stato di circa 4 miliardi, quindi particolarmente contenuto (fonte: dati Eurostat dicembre 2013).

Dall’anno prossimo, invece, a pagare il conto di errori di gestione ed eventuali illeciti del management saranno chiamati (con svalutazioni progressive) innanzitutto gli azionisti, in subordine gli obbligazionisti e, se non bastassero i loro sacrifici, anche i correntisti (ma, come detto, solo coloro che hanno più di 100mila euro depositati).

Quando una banca può essere sottoposta a risoluzione?

Le autorità di risoluzione potranno sottoporre una banca a tale procedura ove si verifichino le seguenti condizioni: a) la banca è a rischio o si trova in condizione di dissesto; b) non si ritiene che misure alternative di natura privata (ad esempio, aumenti di capitale) o di vigilanza consentano di evitare, in tempi ragionevoli, il dissesto dell’istituto; c) sottoporre la banca alla liquidazione ordinaria non permetterebbe di salvaguardare la stabilità sistemica, di proteggere depositanti e clienti, di assicurare la continuità dei servizi finanziari essenziali.

Le autorità di risoluzione potranno dunque: – vendere una parte dell’attività ad un acquirente privato; trasferire temporaneamente le attività e le passività ad un’entità (cd. bridge bank) costituita e gestita dalle autorità per proseguire le funzioni più importanti, in vista di una successiva vendita sul mercato; – trasferire le attività deteriorate ad un veicolo (c.d. bad bank) che ne gestisca la liquidazione in tempi ragionevoli; – applicare il bail-in, secondo il meccanismo di seguito descritto.

Come funziona il bail-in e quali sono i rischi per i risparmiatori?

Allorché si verifichi il default di una banca, le perdite vengono assorbite seguendo una gerarchia di priorità, la cui logica prevede che chi investe in strumenti finanziari più rischiosi sostenga prima degli altri le eventuali perdite o la conversione in azioni. Solo dopo che siano state esaurite le risorse della categoria più rischiosa, si passerà alla categoria successiva.

In prima battuta saranno, comprensibilmente, i “proprietari” della banca (ossia gli azionisti) a doversi fare carico delle conseguenze del dissesto, riducendo o azzerando il valore delle azioni.  In seguito, i detentori di altri titoli di capitale, gli altri creditori subordinati (ossia coloro che hanno i titoli di debito subordinato, quelli cioè più rischiosi), i creditori chirografari, persone fisiche e piccole e medie imprese titolari di depositi per importi oltre i 100mila euro. Da ultimo, il Fondo di garanzia, che contribuisce al bail-in in luogo dei c.d. “depositanti protetti”.

Giusto per esemplificare, chi vanta un deposito di 200.000 euro non dovrà temere che, all’apparire di una crisi, il suo deposito verrà ridotto o convertito in azioni, se la predetta crisi potrà essere assorbita attingendo dalle risorse degli azionisti.

Vi sono forme d’investimento e di risparmio bancario escluse dal bail-in?

Sono totalmente esclusi dall’ambito di applicazione e non possono quindi essere né svalutati né convertiti in capitale:   1) i depositi protetti dal sistema di garanzia dei depositi, cioè quelli di importo fino a 100.000 euro;   2) le passività garantite, inclusi i covered bonds e altri strumenti garantiti;   3) le passività derivanti dalla detenzione di beni della clientela o in virtù di una relazione fiduciaria, come ad esempio il contenuto delle cassette di sicurezza o i titoli detenuti in un conto apposito;   4) le passività interbancarie (ad esclusione dei rapporti infragruppo) con durata originaria inferiore a 7 giorni;   5) le passività derivanti dalla partecipazione ai sistemi di pagamento con una durata residua inferiore a 7 giorni;   6) i debiti verso i dipendenti, i debiti commerciali e quelli fiscali purché privilegiati dalla normativa fallimentare.

Le attività dei clienti, che quindi corrispondono a passività della banca, non espressamente escluse possono essere sottoposte a bail-in: tuttavia, in circostanze particolari, quando l’applicazione di tale strumento comporti, ad esempio, un rischio per la stabilità finanziaria ovvero possa compromettere la continuità di funzioni essenziali, le autorità possono discrezionalmente escludere ulteriori passività. Tali esclusioni sono soggette a limiti e condizioni approvate dalla Commissione Europea. Le perdite non assorbite dai creditori esclusi in via discrezionale possono essere trasferite al Fondo di risoluzione (la cui funzione principale è quella di finanziare l’applicazione delle misure di risoluzione, attraverso la concessione di prestiti o il rilascio di garanzie) che può intervenire nella misura massima del 5% del totale del passivo, a condizione che sia stato applicato un bail-in pari all’8% delle passività totali.

Cosa rischiano i depositanti?

I depositi fino a 100mila euro, quelli cioè protetti dal Fondo di garanzia, sono esclusi dal bail-in e quindi si possono definire “sicuri”, salvo verificare in concreto l’efficacia di tale garanzia.

Tale protezione riguarda, ad esempio, le somme depositate sul conto corrente o in un libretto di deposito e i certificati di deposito coperti dal Fondo di garanzia; non riguarda, invece, altre forme di impiego del risparmio quali le obbligazioni emesse dalle banche.

Anche per la parte eccedente i 100.000 euro, i depositi delle persone fisiche e delle piccole e medie imprese hanno un trattamento preferenziale: essi infatti sopporterebbero un sacrificio solo nel caso in cui il bail-in di tutti gli strumenti con un grado di protezione minore non fosse sufficiente a coprire le perdite e a ripristinare un livello adeguato di capitale.

I depositi al dettaglio oltre i 100.000 euro possono essere esclusi dal bail-in in via discrezionale, per evitare rischi di “contagio” e preservare la stabilità finanziaria, sempre che il bail-in sia stato applicato ad almeno l’8% del totale delle passività, come sopra descritto.

Come cautelarsi dal rischio di bail-in?

Innanzitutto l’investitore / correntista dovrà porre attenzione al rating, la valutazione delle agenzie internazionali, che però in passato non ha evitato scottature.

Esiste poi, quale altro indice di riferimento, il c.d. consensus degli analisti, ovvero i “consigli” di eventuale acquisto, mantenimento o vendita di un titolo.

E’ in ogni caso necessario che gli investitori prestino attenzione ai rischi che comportano alcune tipologie di investimento, in particolare al momento della loro sottoscrizione.

E’ auspicabile che alla clientela che intende sottoscrivere titoli della banca vengano offerti anzitutto certificati di deposito coperti dal fondo di garanzia in luogo delle obbligazioni, soggette a bail-in. Allo stesso tempo le banche dovranno riservare gli strumenti di debito diversi dai depositi agli investitori più esperti, soprattutto quando si tratta di strumenti subordinati, ossia quelli che sopportano le perdite subito dopo gli azionisti.

Di tutto questo le banche dovranno dare comunicazione tempestiva alla loro clientela; l’informazione andrà fornita, con estremo dettaglio, al momento del collocamento dei titoli di nuova emissione.

E’ quindi ora opportuno che il risparmiatore ricerchi preventivamente consiglio presso professionisti indipendenti, in grado di valutare attentamente quali siano le operazioni maggiormente protette.

Si segnala che il tema sarà oggetto di approfondimento in occasione dell’incontro che si terrà in data 9.11.2015 alle ore 18.00 presso la sede generale torinese di Mediolanum Private Banking, in Torino, Via Giolitti n. 2.

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