La sentenza in commento rappresenta un innovativo precedente giurisprudenziale in tema di risarcimento del danno da reato violento.
La novità è rappresentata dal fatto che la sentenza riconosce come anche in caso di reati violenti consumati sul territorio della Repubblica Italiana sia dovuto l’indennizzo previsto dalla direttiva europea 2004/80/CE che dal 1 luglio 2005 obbliga gli Stati membri dell’Unione Europea a garantire “adeguato” ed “equo” ristoro alle vittime di reati violenti ed intenzionali impossibilitate a conseguire dai loro offensori il risarcimento integrale dei danni .
Viene così accolta la tesi difensiva dell’Avv. Stefano Commodo, legale delle due vittime dello stupro milanese, e rigettata la tesi dell’avvocatura dello Stato che riteneva applicabile la direttiva europea solo alle situazioni transfrontaliere.
Ma facciamo un passo indietro. Le signore NC e BN furono vittime dei reati di violenza sessuale e lesioni personali commessi il 6 marzo 2007 da sei persone di nazionalità rumena. In ragione di tali episodi convenivano in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri, chiedendone la condanna al risarcimento di tutti i danni subiti per la mancata e/o non corretta e/o non integrale attuazione della Direttiva 2004/80/CE.
La Presidenza del Consiglio si costituiva in giudizio eccependo come la precitata direttiva europea avesse trovato piena attuazione con il D.lgs. n.204/2007, e che però l’atto ricettivo della direttiva europea disciplinava l’accesso all’indennizzo delle vittime di reati violenti nelle situazioni c.d. transfrontaliere, posizione diversa da quella delle attrici (residenti in Italia e vittime di reati consumati sul territorio italiano). Eccepiva inoltre la mancanza dei presupposti per tratteggiare la responsabilità di uno Stato membro dal momento la direttiva non attribuiva in via diretta ai singoli un diritto soggettivo e, del resto, non vi era nesso causale tra il mancato recepimento ed il danno lamentato.
Il tribunale milanese, nel decidere, ha in primis recepito la ricostruzione del legale attoreo e chiarito che la finalità della direttiva, pur essendo quella di disciplinare e facilitare l’accesso all’indennizzo delle vittime di reati violenti nelle c.d. situazioni transfrontaliere (reato commesso in uno Stato membro diverso da quello di residenza del richiedente l’indennizzo),non poteva ritenersi limitata a quelle fattispecie.
L’art. 12 del provvedimento europeo stabiliva infatti come “Tutti gli Stati membri provvedono a che le loro normative nazionali prevedano l’esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato alle vittime.” (art.12 par.2); e il par.1 dell’art.18 specifica che: “Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 1° gennaio 2006, fatta eccezione per l’articolo 12, paragrafo 2, per il quale tale data è fissata al 1° luglio 2005. Essi ne informano immediatamente la Commissione.”
La tesi delle difesa delle vittime era proprio diretta in tal senso, nel rilevare quindi come affinché vi fosse una piena ed effettiva attuazione della direttiva in da parte di ogni Stato membro sarebbe stata necessario anche l’istituzione di un sistema di indennizzo delle vittime di tutti i reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori (art.12 par.2)
In altri termini le vittime lamentavano come con il D.lgs. 9 novembre 2007 n.204 certamente emanato in attuazione della Direttiva 2004/80/CE, lo Stato non avesse in concreto dato attuazione a tale sistema, limitandosi solamente a disciplinare il procedimento per la richiesta di indennizzo.
Il giudice milanese ha così individuato la sussistenza nella Direttiva di un obiettivo di tutela individuale dei cittadini e con esso di un diritto soggettivo in capo alle vittime di reati violenti intenzionali e qualificato come grave e manifesta la violazione dello stato italiano a fronte della mancata previsione di un sistema di tutela delle vittime di tali reati; nello statuire ciò ha anche rigettato la tesi della Presidenza del Consiglio dei Ministro in ordine all’inesistenza del nesso di causa tra l’omessa attuazione della direttiva ed il danno lamentato dalle attrici (in quanto se l’Italia avesse adempiuto agli obblighi imposti dalla Direttiva, le vittime avrebbero potuto domandare l’indennizzo al competente organo).
La difesa delle vittime ha quindi richiesto, in base ai presupposti indicati dalla Corte di Giustizia (sentenza Francovich) che venisse accertata, come poi è stato, la responsabilità dello Stato italiano da mancata attuazione di direttiva.
Con riferimento infine alle somme riconosciute alla vittime dello stupro considerata la gravità dei delitti, le efferate modalità con cui sono stati commessi, le compromissioni fisiche e psicologiche da essi derivate, e tenuto conto che l’indennizzo è posto a carico di un soggetto estraneo ai fatti criminosi, lo Stato Italiano è stato condannato a risarcire alle attrici una somma pari a € 70.000,00 per BN. E pari a € 150.000,00 per NC.