La tragedia della funivia Stresa-Mottarone: nuovo caso in cui il risarcimento deve essere esemplare

di Davide Gatto

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Quando la tragedia è un evento evitabile, il danno deve esser aggravato dalla condotta: poiché il comportamento gravemente illecito del responsabile del danno si pone come quid pluris che, da un lato, inevitabilmente amplifica la sofferenza della vittima dell’ingiusto danno – come la perdita di un congiunto a causa di uno sconsiderato comportamento altrui – e che, dall’altro, deve necessariamente esser punito affinché simili condotte riprovevoli non si ripetano.

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Come riportato su tutti i quotidiani, salvo improbabili diversi accertamenti, la tragedia del Mottarone era evitabile con un corretto funzionamento dei freni d’emergenza, che invece sono stati sconsideratamente e volontariamente disattivati con il tanto discusso inserimento del c.d. “forchettone” al fine di non avere disservizi. Una tragedia verificatasi per aver omesso di sospendere l’attività dell’impianto, nonostante i malfunzionamenti dello stesso, e per non essersi posto quantomeno lo scrupolo di mettere a repentaglio la vita degli utenti della struttura.

Tutto ciò solo per non rinunciare ai guadagni: vite umane spezzate per ingordigia e scelleratezza.

L’omessa adozione di tutte le precauzioni e misure di sicurezza al fine di risolvere con i necessari interventi i malfunzionamenti e, ancor peggio, la consapevole disattivazione del freno d’emergenza, quale primario sistema di sicurezza che verosimilmente avrebbe evitato l’evento, determinano in capo a chi ha commesso tali nefandezze una responsabilità sia penale che civile.

In casi come quello dei giorni scorsi l’attenzione è concentrata inizialmente sull’accertamento dei profili di responsabilità penale, di cui si occupa il pubblico ministero che, come si può apprendere dai primari quotidiani, ha già sottolineato come, in caso di conferma degli accertamenti relativi alla responsabilità penali, la pena sarebbe elevatissima trattandosi di condotta sconsiderata che ha falciato la vita di 14 persone e cagionato lesioni gravissime ad un bambino di appena 5 anni (https://www.ansa.it).

Incidenti gravissimi come quello della funivia Stresa-Mottarone – che è costato la vita a ben 14 persone e stravolto quella di altrettante famiglie ivi compresa la vita del minore sopravvissuto – impongono al giurista del settore una riflessione anche in tema di responsabilità civile e sulle sue funzioni socio economiche.

Tale riflessione è dovuta poiché l’ampio sistema della responsabilità civile ha molteplici funzioni.

Una di queste è quella puramente risarcitoria, volta al mero l’integrale ripristino delle condizioni in cui si trovava il danneggiato prima dell’evento danno, ma ciò non è ovviamente del tutto possibile quando si parla di danni di natura non patrimoniale – come la perdita di un congiunto – e pertanto in tali casi più precisamente si parla di funzione satisfattoria-consolatoria della responsabilità civile, che si concretizza attraverso il risarcimento monetario mediante una valutazione-quantificazione equitativa da parte del Giudice e più nel concreto tramite l’applicazione di predisposte tabelle liquidative che, però, non tengono conto dei taluni specifici elementi come la condotta del danneggiante.

Infatti tale sistema di risarcimento, sebbene in nessun caso non potrà mai colmare del tutto il vuoto generato dall’evento dannoso o rimuovere definitivamente la sofferenza che l’illecito ha provocato e che l’ordimento tende a compensare prevedendo il risarcimento di tale dolore (pretium doloris), rischia di risultare del tutto inadeguato quando si è in presenza di illeciti intenzionali o caratterizzati da una gravissima colpa del danneggiate che amplificano la sofferenza, rendendo inidonei gli standardizzati parametri tabellari.

In merito al danno non patrimoniale, in questi casi, si pone l’accento proprio su quel che concerne i criteri risarcitori per la liquidazione del danno morale, soprattutto in relazione alla funzione sanzionatoria che quest’ultimo può svolgere nel nostro ordinamento.

Difatti, la sofferenza interiore (danno morale) può essere risarcita anche al di fuori dei criteri tabellari, in quanto “tali conseguenze non sono mai catalogabili secondo universali automatismi, poiché non esiste una tabella universale della sofferenza” (Cass. n. 7766 del 2016) e ciò al fine soprattutto di garantirne l’adeguata valutazione di tutti i pregiudizi subiti dalle vittime, tenendo conto di tutte le circostanze del caso e quindi anche di quella relativa alla condotta del danneggiante.

A tali similari conclusioni, peraltro, è giunta anche la giurisprudenza di merito, come ad esempio nel noto caso dello studente diciassettenne del liceo scientifico Darwin di Rivoli che nel novembre 2008 perdeva la vita a causa dell’improvviso crollo della controsoffittatura dell’aula, mai sottoposta a controlli di sicurezza nel corso degli anni. In quel caso – grazie alle intuizioni e alle battaglie condotte dai legali di questo Studio in qualità di difensori degli eredi della vittima – il Giudice di merito, a fronte di una richiesta attorea di un risarcimento ultra-compensativo basato sulla gravità della condotta del danneggiante e conseguente richiesta di applicazione di un moltiplicatore ai valori tabellari, ha avuto l’occasione di analizzare la prospettiva secondo cui la gravita della condotta contribuisce a incrementare il quantum risarcitorio del danno non patrimoniale. Il Giudice civile, infatti, ha riconosciuto l’applicazione del moltiplicatore proprio tenendo conto proprio della gravità del fatto, del disvalore della riprovevole e grave condotta tenuta dai responsabili e considerando che non possono non aver aggravato lo strazio dei familiari del giovane studente le circostanze della straordinarietà della tragedia, che è avvenuta all’interno di un istituto scolastico e dunque in un luogo nel quale ciascuno ripone particolare affidamento e che poteva esser evitata da chi ricopriva una funzione di garanzia e controllo.

Si parla in questi casi di risarcimenti aggravati dalla condotta, che si basano sulle ulteriori funzioni insite al sistema della responsabilità civile, ossia quella sanzionatoria-deterrente e quella di rendere effettiva giustizia alle vittime di un danno ingiusto.

Tale evoluzione della responsabilità civile nel nostro ordinamento prende spunto soprattutto dagli ordinamenti di common law, nei quali – qualora venga provato che il danneggiante abbia commesso un fatto particolarmente riprovevole posto in essere con una condotta caratterizzata da dolo-mala fede o colpa grave – si ricorre all’applicazione di specifici istituti a corollario dell’ordinario sistema di responsabilità civile, ossia agli istituti dei c.d. risarcimenti punitivi e risarcimenti aggravati dalla condotta. Il primo istituto ha una principale funzione di punire l’autore del danno, al fine di dissuaderlo dal ripetere le medesime condotte in futuro e prevenire che altri potenziali danneggianti possano mettere in atto condotte similmente dannose. Il secondo, invece, ha come principale funzione quella di tendere a un equo risarcimento che tenga conto anche di quel quid pluris di danno cagionato proprio dalla condotta riprovevole del danneggiante che non solo amplifica inevitabilmente gravità del fatto, ma arreca alla vittima un danno maggiore.

I richiamati istituti hanno in comune una funziona deterrente-preventiva, ma soprattutto nascono con lo scopo di rendere una adeguata giustizia attraverso una condanna del danneggiante a un risarcimento ulteriore rispetto a quello ordinariamente riconosciuto in favore del danneggiato.

Tali forme risarcitorie, tra l’altro, oltre ad avere una funzione deterrente e pedagogica data dalla condanna esemplare che funge da monito all’intera collettività, rappresentano una efficiente allocazione del costo dell’incidente in capo al danneggiante che volontariamente o con grave colpa ha posto in essere l’attività dannosa. Infatti, la responsabilità civile, anche in un’ottica di analisi economica del diritto, avendo la funzione di riallocare i costi degli incidenti e quindi distribuendo e trasferendo il peso di tali costi su un soggetto diverso da quello che ha subito il danno, si pone l’obiettivo di esplicare una funzione deterrente – preventiva, volta disincentivare i consociati dal compimento di condotte antigiuridiche.

Detta funzione anche definita regolativa – organizzativa ha il precipuo scopo non solo di dissuadere con la minaccia di un elevato costo del risarcimento altri potenziali danneggianti dal porre in essere condotte simili, ma ha inoltre lo scopo di garantire un’uguaglianza sostanziale restituendo alle vittime e/o alle loro famiglie, nel maggior parte dei casi gente comune, la dignità tre troppo spesso viene calpestata per l’interesse economico del capitalista che accetta di mettere a rischio la vita dei consociati con la propria egoistica e consapevolmente sconsiderata condotta illecita.

Di conseguenza, affinché tale funzione possa spiegare correttamente i suoi effetti, è necessaria una maggiore reazione dell’ordinamento e quindi una adeguata maggiorazione del risarcimento in presenza di un elevato grado di antigiuridicità della condotta dannosa, in quanto una valutazione della condotta non è importante solo dal punto di vista della funzione sanzionatoria-deterrente bensì lo è anche per quanto riguarda la funzione che sta alla base dell’istituto della responsabilità civile: ossia quella di rendere giustizia.

Si trattano di funzioni insite anche al sistema della responsabilità civile come previsto dall’ordinamento italiano, la cui disciplina impone di riconosce a detto istituto una polifunzionalità.

Difatti, dopo anni di dibattiti e chiusure, la più illuminata giurisprudenza di legittimità, con uno storico cambiamento di rotta, nel 2017 con la sentenza n. 16601 resa dalle Sezioni Unite della Cassazione ha riconosciuto alla responsabilità civile  “una natura polifunzionale…, che si proietta verso più aree, tra cui sicuramente principali sono quella preventiva (o deterrente o dissuasiva)  e quella sanzionatoria-punitiva” oltre a quella “primaria funzione compensativo riparatoria dell’istituto”, affermando altresì che “non è quindi ontologicamente incompatibile con l’ordinamento italiano l’istituto di origine statunitense dei risarcimenti punitivi…”.

Ammettendo la funzione sanzionatoria-deterrente della responsabilità civile, deve ritenersi, di conseguenza, superato anche il principio di equivalenza del dolo alla colpa e conseguentemente, nelle ipotesi in cui il danno è stato cagionato da una condotta dolosa o gravemente colposa, anche nel nostro ordimento il Giudice, oltre a prevedere il contenuto minimo del risarcimento del danno subito dalla vittima per la perdita del congiunto, nell’esercizio del suo potere di valutazione equitativa deve tener conto della gravità della condotta antigiuridica, del grado di colpevolezza e dell’arricchimento che il danneggiante ha ottenuto con la sua condotta illecita.

In conclusione, in queste drammatiche e straordinarie tragedie come quella della funivia del Mottarone, dunque, la funzione di rendere giustizia sottesa all’istituto della responsabilità civile può esplicarsi solo attraverso un risarcimento che ai fini della quantificazione del danno tenga effettivamente conto di tutte le circostanze del caso (quali l’ arricchimento del danneggiante, la gravità del pregiudizio e il grado di colpevolezza); cosicché, inoltre, la responsabilità civile non svolga la mera funzione riparatoria ma anche quelle sanzionatoria – deterrente e soprattutto quella preventiva affinché tali stragi, o tragedie che dir si voglia, non ripetano.

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