di Davide Gatto
D.M. 22 novembre 2019 e L. 29 febbraio 2020 n. 8
Dopo anni di dibattiti e plurime condanne dell’Italia da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, finalmente il legislatore italiano è intervenuto al fine di porre rimedio all’imbarazzante inadeguatezza degli irrisori indennizzi originariamente previsti a favore delle vittime di reati intenzionali violenti. Con il D.M. del Ministero degli Interni del 22 novembre 2019 (G.U. 23.01.2020), sono stati rideterminati gli importi degli indennizzi a favore delle vittime di reati violenti prevedendo un indennizzo di euro 50.000 in caso di omicidio, che aumenta a euro 60.000 a favore dei figli in caso di omicidio del genitore commesso dal coniuge di quest’ultimo – anche se separato o divorziato – o da persona legata da relazione affettiva alla persona offesa, e indennizzi di euro 25.000 per le vittime di violenza sessuale, di lesioni personali gravissime nonché per le vittime del neo introdotto delitto di “deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso”. Tali indennizzi peraltro possono essere incrementati fino ad importo massimo di euro 10.000 a titolo rimborso di spese mediche e di assistenza purché documentate; rimborso spese che invece è determinato nella misura massima di euro 15.000 nei casi di reati intenzionali violenti diversi da quelli appena menzionanti e quindi per quelle vittime di reati per i quali non è previsto un vero e proprio indennizzo. Il suddetto intervento normativo ha tra l’altro previsto per le vittime che hanno già ottenuto la liquidazione dell’indennizzo secondo i criteri previgenti la possibilità di richiedere la rideterminazione dell’importo dell’indennizzo secondo i nuovi criteri. Inoltre, ai fini della presentazione delle domande di indennizzo non ancora proposte nonché di quelle per la rideterminazione degli indennizzi già liquidati, il legislatore con la legge n. 8 del 29 febbraio 2020 è intervenuto riaprendo e prorogando i termini fino al 31 dicembre 2020.
Ratio della disciplina di matrice eurounitaria e il ritardato e frammentario intervento del legislatore italiano:
Il legislatore nazionale sul fronte delle esigenze di tutela delle vittime di reati violenti è stato negli ultimi decenni ripetutamente sollecitato dagli input sovranazionali ed europei, volti a riconoscere e a costituire una maggiore protezione e assistenza alle vittime di reati intenzionali violenti.
Si tratta di un processo di valorizzazione delle vittime di reato che risponde all’elementare esigenza di solidarietà sociale, volta ad una tutela concreta delle vittime di reato in tutti quei casi in cui (ad es. per insolvenza del reo o quando questi resta ignoto) le stesse altrimenti, oltre a dover subire le sconvolgenti conseguenze dannose strettamente connesse al reato, resterebbero anche totalmente prive di una effettiva tutela che possa essere quantomeno satisfattiva in termini di pretium doloris. E non solo. Infatti, altro scopo perseguito a livello sovranazionale, proprio tramite gli input volti alla previsione di un sistema di indennizzo statale per le vittime di reati intenzionali violenti, è sicuramente quello di garantire una maggiore sicurezza nonché una più concreta libertà di spostamento dei cittadini dell’unione su tutto il territorio europeo.
I primi significativi impulsi volti a fronteggiare e ad assolvere tale esigenza trovano origine nella Risoluzione n. 27 del 1977 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, con la quale si raccomandava agli Stati membri di predisporre un apposito sistema risarcitorio (rectius: di indennizzo) statale per le vittime di reati intenzionali violenti e che rimase inascoltata dallo Stato italiano, e nella successiva Convenzione europea del 1985 n. 116 per il risarcimento delle vittime di reati violenti che non venne però ratificata dall’Italia.
È in questo alveo che si inserisce la direttiva Europea CE/2004/80, con la quale si imponeva a tutti gli Stati membri dell’allora comunità europea di dotarsi di un sistema che prevedesse l’erogazione di un equo ed adeguato indennizzo per tutte le vittime di reati intenzionali violenti commessi sui propri territori nazionali.
Obbligo che lo Stato italiano ha adempiuto tardivamente solo in via formale e con misure parziali e del tutto insoddisfacenti, con conseguente successiva frammentarietà della disciplina.
Una prima limitata e inadeguata attuazione della direttiva si ha con il d.lgs. 204/2007, con il quale il legislatore italiano ha arbitrariamente limitato il sistema di indennizzo – senza peraltro prevedere dei criteri per una concreta applicazione dello stesso che pertanto è rimasto inattuato – alle sole vittime transfrontaliere escludendo così i cittadini italiani a fronte, invece, di una ben più ampia portata della suddetta direttiva (la norma infatti avrebbe dovuto esser rivolta a favore di tutti i cittadini europei che abbiano subito un reato intenzionale violento in Italia). La mancata applicazione dei criteri della direttiva in questione portò difatti alla prima condanna dello Stato italiano da parte della Corte di Giustizia dell’UE (CGUE, 29 novembre 2007, causa C-112/07), la quale condannò l’Italia proprio rilevando l’inadeguatezza del sistema adottato dal legislatore italiano in quanto non rispondeva alle caratteristiche di sistema generalizzato previsto dall’art. 12 della direttiva.
Stante il successivo perdurare dell’inadempimento della Repubblica Italiana a dotarsi di un adeguato sistema di tutela per le vittime di reati intenzionali violenti, la Commissione Europea avanzò nei confronti dell’Italia una procedura di infrazione (NIF 2011/4147), conclusasi nel 2016 avanti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea che condannò nuovamente lo Stato Italiano (CGUE, 11 ottobre 2016, causa C-601/14).
Nelle more di tale procedimento il Parlamento italiano, consapevole della prevedibile nuova condanna, decise di attivarsi e di intervenire con la legge 7 luglio 2016 n. 122 (c.d. legge europea 2015/2016), la quale sebbene con 12 anni di ritardo avrebbe dovuto adeguare il suddetto sistema indennitario conformandosi ai precetti della direttiva europea.
Invero, il legislatore, utilitaristicamente e con tortuose limitazioni, ha pensato bene di aggirare i propri obblighi solidaristici nei confronti dei propri cittadini e di quelli stranieri, prevedendo una disciplina ricca di condizioni che rendevano particolarmente arduo, lungo e oneroso, ai confini del sostanzialmente impossibile, l’accesso a tale indennizzo. Così lo Stato italiano nel 2016 recepiva formalmente la direttiva, rendendola tuttavia inapplicabile da un punto di vista sostanziale.
Tra le limitative condizioni per la concreta applicazione del sistema indennitario previsto dalla l. 122/2016, ex multis, vi erano: 1) il requisito soggettivo del reddito annuo della vittima, il quale non poteva esser superiore a quello previsto per l’ammissione al Patrocinio dello Stato; 2) l’impossibilità di accedere all’indennizzo per le vittime che per lo stesso fatto di reato avessero percepito qualsivoglia somma a qualunque titolo da soggetti pubblici o privati, con una conseguente abnorme limitazione di accesso al sistema se si pensa che astrattamente con tale previsione si negava l’accesso anche a quelle vittime che avessero ricevuto delle elargizioni documentate da parte di familiari per fronteggiare le conseguenze dannose derivanti del fatto criminoso; 3) altra limitazione, posta come condizione necessaria per l’accesso all’indennizzo era quella che imponeva alle vittime di esperire nei confronti del reo un’azione esecutiva per cercare di ottenere il ristoro del danno quandanche l’autore del reato fosse già palesemente insolvente; 4) ulteriore condizione limitativa e in aperto contrasto con il contenuto della direttiva riguardava la circoscritta platea di destinatari dell’indennizzo, previsto in concreto solo in caso di omicidio o di violenza sessuale, poiché per tutti gli altri casi veniva prevista una limitata refusione delle sole spese mediche.
L’anno successivo il legislatore interviene nuovamente e, con la legge 167/2017, cerca di emendare le arbitrarie e troppo limitative previsioni della sopracitata normativa, abrogando il più odioso ed iniquo requisito soggettivo del ridotto reddito annuo della vittima; restringendo leggermente i casi di perdita del diritto di accesso all’indennizzo alle sole vittime che avessero percepito somme pari o superiori a euro 5000 a qualsiasi titolo da soggetti pubblici o privati (innalzamento dell’importo che difatti non fu risolutivo della criticità e dell’illegittimità della norma posta in questi termini); alleggerendo gli oneri della vittima sul fronte processuale con riferimento alla condizione di insolvibilità del condannato, che avrebbe potuto essere presunta nei casi in cui l’imputato avesse avuto accesso al patrocinio a spese dello stato; e infine prevendendo la retroattività della norma a tutti i casi in cui il fatto di reato fosse stato commesso successivamente al 30 giugno 2005. I termini per la presentazione delle domande di indennizzo sono stati stabiliti dalla legge 30 dicembre 2018 n. 145, la quale peraltro all’art. 1 comma 593 ha operato una significativa rimodulazione delle condizioni di accesso all’indennizzo e, con particolare riferimento alle precedenti elargizioni erogate da soggetti pubblici o privati a favore della vittima in conseguenza diretta ed immediata dello stesso fatto di reato, ha previsto che la perdita del diritto ad ottenere l’indennizzo statale si concretizzasse soltanto nel caso in cui la vittima avesse già percepito somme pari o superiori a quelle dovute in caso di erogazione dell’indennizzo stesso; criterio tutt’oggi vigente e che ha ricondotto a ragionevolezza la norma e più genericamente nel solco del generale principio della compensatio lucri cum damno lo stesso requisito.
Tuttavia ciò che è rimasto immutato sino allo scorso novembre è il decreto interministeriale del 31 agosto 2017 (G.U. 10 ottobre 2017) varato per la determinazione degli indennizzi, i quali risultarono subito offensivi in quanto venivano previsti degli indennizzi palesemente iniqui e inadeguati se si pensa che, ad esempio, l’indennizzo previsto in caso di violenza sessuale veniva individuato dal citato decreto nella misura oltremodo ridotta di euro 4.800, così come veniva previsto l’irrisorio importo di euro 7.200 in caso di omicidio volontario.
L’insufficienza e l’inadeguatezza del sistema disciplinato dal legislatore italiano difatti non è rimasto indenne dalle forti critiche della più illuminata giurisprudenza di legittimità (ex multis Cass., 31 gennaio 2019, n. 2964), la quale ha rimesso la questione nuovamente alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea che al momento deve ancora pronunciarsi e che dovrà però evidentemente tener conto anche dei recenti emendativi interventi normativi del legislatore italiano qui in commento (D.M. 22.11.19 e L. 8/2020).
Verso più dignitosi indennizzi e un progressivo ampliamento… ma ancora lontani dall’equità:
Sebbene il recente intervento normativo qui in commento non è scevro di criticità, di cui si dirà infra, non si può tuttavia negare che, anche se dopo 16 lunghi anni, un passo verso un più concreto adeguamento alla direttiva è stato fatto dal legislatore, il quale fino allo scorso novembre si era limitato a rispondere solo formalmente agli obblighi di matrice europea per poi lasciare di fatto priva di una risposta solidaristica, con concreto sostegno economico, le vittime.
L’implementazione degli importi degli indennizzi, che come detto supra arrivano fino a 60.000 euro in caso di omicidio commesso dal coniuge e ad euro 25.000 nel caso di violenza sessuale, lesioni personali e deformazione permanente del viso, non può che rappresentare certamente un concreto punto di partenza per un’ancora auspicabile miglioramento del complesso sistema di tutela a favore delle vittime di reati violenti intenzionali.
Senza dubbio occorre evidenziare che la rideterminazione degli importi rende sicuramente più dignitosi gli indennizzi spettanti alle vittime di reati violenti intenzionali, ma non possono al tempo stesso definirsi equi se raffrontanti con l’entità degli indennizzi previsti per le vittime di altri specifici reati come ad es. per le vittime di mafia, a favore delle quali sono previsti indennizzi fino a 200.000 euro, o ancora se confrontati con gli importi riconosciuti alle vittime di reati intenzionali a titolo di risarcimento per tardiva trasposizione della normativa europea da parte dello Stato italiano (rectius: per aver quest’ultimo recepito in maniera errata le norme sovranazionali e per aver limitato arbitrariamente l’accesso all’indennizzo in modo tale da renderlo praticamente utopistico).
Ad ogni modo si deve apprezzare l’odierno tentativo di restituire alla stessa disciplina quella funzione di strumento volto garantire una effettiva solidarietà a favore delle vittime di reati dolosi commessi con violenza a danno della persona umana, la cui dignità era stata totalmente neutralizzata dalla precedente limitativa legislazione in materia.
Si coglie inoltre con favore la nuova previsione di consentire l’accesso all’indennizzo, determinato nella misura di euro 25.000, alle vittime del neo introdotto reato di “deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso” e alle vittime dei delitti di lesioni personali gravissime per le quali invece precedentemente era prevista dall’art. 11 L. 122/2016 solo la possibilità di ottenere il più propriamente definibile rimborso delle spese mediche e di assistenza, che in questi termine resta ancora per i soli casi di lesioni gravi e non gravissime.
Non di poco conto è altresì quanto previsto dall’art. 2 del decreto del novembre 2019, ossia la possibilità di richiedere la rideterminazione degli indennizzi già liquidati alla data di entrata in vigore della L. 145/2018, i cui termini ad opera della L. 8/2020 sono stati riaperti e prorogati al 31 dicembre 2020. Analogo termine è previsto anche per la proposizione di nuove domande per le vittime che al 31.10.2020 risultano essere in possesso di tutti i requisiti per l’accesso alla procedura di indennizzo[1]. Resta invece invariato il termine di 60 giorni, dalla sentenza che definisce il giudizio contro ignoti ovvero dall’ultimo atto dell’azione esecutiva infruttuosamente esperita contro il reo condannato, per la presentazione della domanda di indennizzo in tutti quei casi in cui il fatto di reato sia stato commesso dopo l’entrata in vigore della legge 8/2020 nonché in tutti quelli in cui la vittima al 31.10.2020 non risulta essere ancora in possesso dei necessari requisiti per l’accesso all’indennizzo statale.
Ciò che invece si ritiene di dover criticare è il persistente omesso ampliamento dell’applicabilità della disciplina a tutti i casi di reati violenti intenzionali, nonché la sopravvivenza del limitante requisito per l’accesso all’indennizzo di una preventiva onerosa e infruttuosa attività esecutiva che la vittima deve attivare nei confronti del reo condannato: condizione che ben potrebbe esser rimodulata in termini tali da rendere più agevole l’ottenimento dell’indennizzo.
La frammentaria e circoscritta disciplina restano limiti superabili:
Da ultimo, sebbene non si possa negare il passo in avanti fatto dal legislatore, si rileva come l’attuale impianto normativo risulti ancora eccessivamente frammentario e tortuoso rendendo di fatto molto complesso e arduo l’accesso all’indennizzo; inoltre non si può non indicate l’arbitraria scelta del legislatore di circoscrive l’applicabilità della normativa a sole talune ipotesi di reati violenti intenzionale. Infatti, giova ricordarlo, dell’indennizzo possono beneficiare solo le vittime di violenza sessuale, i congiunti delle vittime di omicidio, le vittime di lesioni personali gravissime e le vittime del reato deformazione permanete del viso.
Ciò a parere di chi scrive risulta biasimevole se si considera che l’effettività di un sistema di tutele si concretizza anche nel garantire l’efficienza e la facilità dei meccanismi di accesso al sistema stesso, nonché nel garantire una portata applicativa generalizzata, come peraltro previsto dalla stessa normativa europea.
In conclusione, nonostante si possa apprezzare una chiara evoluzione in termini di tutela a favore di talune vittime, ci si auspica che il legislatore voglia procedere a una riforma organica della materia prevedendo un sistema generalizzato e omogeneo con più equi e adeguati criteri volti a un più concreto contributo solidale dello Stato a favore di tutte le vittime di reati intenzionali violenti, in quanto, ancorché l’introduzione del reato di lesioni personali gravissime nel novero dei casi che danno diritto all’indennizzo abbia sicuramente ampliato notevolmente la platea di vittime che potranno beneficiare dell’indennizzo, non è plausibile immaginare che un sistema di tutela della persona umana previsto da uno Stato di diritto come quello italiano non tenga conto dei supremi principi di uguaglianza e adeguatezza imposti anche da una lettura costituzionalmente orientata.
[1] Sul punto per completezza si precisa che ai fini dell’accesso alla procedura di indennizzo e per l’ottenimento dello stesso è necessario che:
– il fatto di reato sia stato giudizialmente accertato con condanna dell’autore del reato ovvero con definitivo giudizio per esser ignoto l’autore del reato;
– la vittima abbia concretamente esperito nei confronti del reo condannato tutte le attività esecutive volte al recupero di quanto alla stessa spettante a titolo di risarcimento e che tali attività esecutive abbiano avuto esito infruttuoso; mentre nel caso in cui l’autore del reato sia rimasto ignoto ovvero sia noto ma in corso di processo sia stato ammesso al gratuito patrocinio a spese dello Stato, la vittima non dovrà procedere a una preventiva attività esecutiva in quanto in presenza delle appena dette circostanze è ex lege presunto l’inevitabile esito infruttuoso;
– la vittima non abbia già percepito per lo stesso fatto di reato, da soggetti pubblici o privati, somme pari o superiori a quelle previste come importo dell’indennizzo stesso;
– la vittima non sia stata condannata con sentenza definitiva ovvero sottoposta a procedimento penale per uno dei reati di cui all’art. 407, comma 2, lett. a) c.p.p. ovvero per reati di evasione fiscale;
– la vittima non abbia colposamente concorso alla commissione del reato stesso ovvero di reati connessi;