Indennizzo per sindrome da Talidomide

di Erika Finale

La legge 24 dicembre 2007, n. 244 e s.m.i. prevede l’erogazione, da parte dello Stato, dell’indennizzo a favore dei soggetti affetti da sindrome da talidomide nelle forme dell’amelia, dell’emimelia, della focomelia e micromelia, successivamente esteso “anche ai soggetti che ancorché nati al di fuori del periodo ivi previsto, presentano malformazioni compatibili con la sindrome da talidomide“.

Abbiamo affrontato il caso di un soggetto affetto da sindrome da Talidomide fin dalla nascita risalente alla fine degli anni ‘60, consistente in emimelia trasversa dell’arto superiore sinistro in quanto la di lui madre aveva assunto il farmaco “Contergan” contenente Talidomide durante i primi mesi di gravidanza, regolarmente prescrittole prescritto dal medico curante come antiemetico.

Nel 2017 il danneggiato presentava istanza di riconoscimento e di corresponsione dell’indennizzo previsto ai sensi dell’art 1 della legge 29 ottobre 2005 n 229 e successivo decreto ministeriale del 2 ottobre 2009 n 163, ai soggetti affetti da sindrome da Talidomide.

La competente C.M.O. aveva espresso un primo giudizio, peraltro nell’immediatezza della visita, che affermava la sussistenza del nesso causale tra l’assunzione materna del Talidomide e la malformazione dal cui il medesimo era affetto, esprimendosi dunque positivamente in ordine al riconoscimento del nesso di causa dapprima riconosciuto il diritto all’indennizzo.

In forza poi di un repentino revirement lo ha negato con successivo verbale di C.M.O. in maniera del tutto arbitraria, o forse sarebbe più corretto dire infondata, dal momento che a suffragio del proprio convincimento indicava la mancata presentazione di documentazione sanitaria relativa all’assunzione del farmaco da parte della madre durante la gestazione, circostanza dalla medesima ritenuta dirimente in ordine al mancato riconoscimento del nesso di causa, sebbene la giurisprudenza ormai unanime sia di tutt’altro avviso.

La vittima, alla luce di ciò, nel 2023 evocava in giudizio il Ministero della Salute per ottenere il riconoscimento del diritto all’indennizzo e conseguentemente, sentirlo condannare a liquidare con decorrenza dal mese di gennaio 2008 l’indennizzo di cui all’art. 2 comma 363 della legge n. 244 del 24 dicembre 2007 e legge n. 14 del 27 febbraio 2009, con rivalutazione di tutte le voci dell’indennizzo ed interessi legali sino al saldo sui ratei non corrisposti, con vittoria di spese e compensi del giudizio.

Il competente Tribunale, nel novembre 2024, accertava e dichiarava il diritto del soggetto leso all’indennizzo di cui all’art. 2, comma 363, L. 244/2007, in combinato disposto con l’art. 21 ter legge n. 160/2016, con decorrenza dal 1° gennaio 2008 parimenti condannando il Ministero della Salute a corrispondere in favore del medesimo il predetto indennizzo, oltre interessi sui ratei non corrisposti dal 121° giorno successivo alla presentazione della domanda fino al saldo.

Avverso tale decisione, il Ministero della Salute interponeva appello.

Le avversarie difese si sono sviluppate attorno alle tesi:

  • della pretesa incompatibilità fra la data di nascita del danneggiato ed il ritiro dei farmaci che contengono il principio attivo della talidomide;
  • del difetto di prova in ordine all’assunzione da parte della di lui madre del farmaco “Contergan” contenente Talidomide durante i primi mesi di gravidanza, prescrittole dal medico curante come antiemetico;
  • della asserita mancata valutazione della riconducibilità causale tra l’assunzione del farmaco contenete il principio attivo della talidomide e le malformazioni da cui egli è affetto secondo il criterio del “più probabile che non”.

Ad aprile 2025, la Corte d’Appello di Torino rigettava l’appello, confermando la sentenza di primo grado, la quale nel frattempo diveniva esecutiva, stante la mancata impugnazione della medesima davanti alla Suprema Corte di Cassazione da parte del Ministero della Salute.

Il caso in oggetto può sembrare un’eccezione, ma in realtà potrebbe invece rappresentare uno spunto per aprire nuove strade che soggetti i quali ritengono di aver vissuto ingiustamente analoghe sofferenze potrebbero determinarsi a voler percorrere.

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