Comportamenti illeciti all'interno della famiglia

Quando la famiglia è ‘attaccata’ da un componente della stessa: cenni sul danno endo familiare

di Sara Commodo

La famiglia può subire un danno a seguito di una condotta illecita posta in essere da un soggetto esterno alla medesima oppure da un componente dello stesso nucleo familiare.

Da qui nasce la macro ripartizione tra danno eso familiare e danno endo familiare.

Per illeciti eso familiari si intendono quelle azioni dannose poste in essere da un terzo estraneo alla famiglia contro uno o più componenti di quest’ultima o contro l’intero nucleo familiare.

La responsabilità eso familiare trova il suo esordio con una sentenza storica della cassazione del 1986 nel noto caso Lucidi contro Santarelli che in sede di legittimità riconosce per la prima volta al coniuge il diritto al risarcimento dei danni subiti a causa di un errore medico dal quale era derivata l’impossibilità della moglie ad avere rapporti sessuali relazioni familiari. L’illecito lede il diritto alla persona (costituzionalmente protetto) al pieno svolgimento dei rapporti di coniugio.

Per  illecito endo familiare si intendono quelle condotte illecite dolose o colpose in violazioni di doveri nascenti dal vincolo matrimoniale o dal rapporto di genitorialità, poste in essere consapevolmente da un membro del nucleo familiare ai danni di un altro, che non possono trovare composizione all’interno della famiglia ponendosi oltre la soglia della tollerabilità e da cui derivi, in termini di conseguenzialità diretta, la compromissione di diritti fondamentali della persona, costituzionalmente garantiti, e, dunque, un danno ingiusto.

Se la violazione di quei doveri cagiona la lesione di diritti costituzionalmente protetti, integra gli estremi dell’illecito civile e, quindi, può dare luogo al risarcimento del c.d. danno endo familiare, rientrante nel danno non patrimoniale. Nel processo di continuo adeguamento del diritto vivente all’evolversi delle relazioni familiari e, dunque, al progressivo abbandono della concezione  istituzionale della famiglia a favore di quella di comunità di affetti, basata sui principi di solidarietà ed eguaglianza e sulla valorizzazione della posizione individuale del singolo che, nell’ambito della famiglia, delle formazioni sociali para-familiari, deve potersi realizzare prim’ancora che come coniuge, compagno, genitore o figlio, come individuo, la giurisprudenza ha da tempo riconosciuto la possibilità di ricorrere alla tutela aquiliana, così creando un legame tra due ambiti del diritto (diritto di famiglia e responsabilità civile) tradizionalmente ritenuti tra loro distanti.

Il rimedio extracontrattuale si affianca, dunque, a quelli tipici previsti dal diritto di famiglia che non sempre si rivelano sufficienti a garantire la piena e adeguata tutela del singolo in relazione a un comportamento grave e riprovevole tenuto nei suoi confronti da uno stretto congiunto.

Posto che alla violazione dei doveri ex art. 143, cod. civ. può conseguire il risarcimento del danno, va però detto come esso non discende automaticamente dalla mera violazione dei predetti doveri dovendo, in particolare, riscontrarsi la concomitante esistenza di tutti i presupposti ai quali l’art. 2059, cod. civ. riconnette detta responsabilità.

Per il risarcimento del danno endo familiare è necessario che la condotta illecita:

(i) produca un danno ingiusto, inquadrabile nel danno non patrimoniale di natura morale e/o psico-fisico e/o comportante un pregiudizio alla vita dinamico-relazionale del familiare, da valutarsi in base agli atti acquisiti al processo e parametrato, tenuto conto della gravità e della durata delle violazioni e delle ricadute negative sulla vita e sulla salute di coniuge/compagno e figli;

(ii) vìoli un diritto fondamentale di rango costituzionale, quale la dignità della persona, e sia di particolare gravità, essendo posta in essere con modalità insultante, ingiuriosa ed offensiva14, o con reiterati comportamenti violenti e gravemente intimidatori, essendo fatti delittuosi sussumibili all’interno delle fattispecie di cui agli artt. 612594 e 581, cod. pen..

In tema di danno endo familiare si sono distinte diverse ipotesi di sussistenza del diritto al risarcimento.

in relazione al rapporto di coniugio

(1) la violazione del dovere di fedeltà, che può dar luogo al risarcimento dei danni anche senza la pronuncia di addebito in sede di separazione, sempre che la condizione di afflizione indotta nel coniuge superi la soglia della tollerabilità e si traduca, per le sue modalità o per la gravità dello sconvolgimento che provoca, nella violazione di un diritto costituzionalmente protetto, quale, in ipotesi, quello alla salute o all’onore o alla dignità personale. Allo stesso modo, ed al contrario, la pronuncia di addebito della separazione non può di per sé ed automaticamente integrare una responsabilità risarcitoria, dovendo riscontrarsi la concomitante esistenza di tutti i presupposti ai quali l’art. 2059 cod. civ., riconnette detta responsabilità; la posizione del coniuge che domanda il risarcimento va “bilanciata” con la situazione soggettiva del coniuge autore della violazione, il quale, dal canto suo, vanta il diritto ad autodeterminarsi nell’ambito della sfera privata e familiare, nonché la libertà delle scelte sentimentali, ontologicamente incoercibili. Nell’ambito di tale bilanciamento, se il diritto alla conservazione dell’unione coniugale prevale nell’ambito del sistema del diritto di famiglia, trovando la violazione dei doveri nascenti dal matrimonio adeguata sanzione nell’addebito della separazione, fuori da tale sistema non necessariamente il diritto all’integrità della vita familiare è destinato a prevalere, sicché la mera violazione del dovere di fedeltà coniugale non può di per sé sola determinare la condanna al risarcimento del danno che ne deriva.

(2) la dichiarazione pubblica della esistenza di un rapporto di fidanzamento con l’amante e la gravità delle offese rivolte al marito anche tramite social – con elezione dello status di “separata” prima dell’instaurazione del procedimento di separazione – sono sufficienti a ritenere lesa la dignità e la reputazione del coniuge, attesa la oggettiva lesività della sfera psico-fisica, per la sofferenza morale e psicologica subita dal medesimo, con conseguente diritto al risarcimento del danno;

(3) l’inadempimento delle condizioni di separazione e di divorzio, l’elusione sistematica dei provvedimenti sull’affidamento stabiliti dal giudice della separazione, il comportamento ostile attuato dal genitore affidatario nei confronti dell’altro padre, le ripetute minacce all’ex coniuge, nella misura in cui ingenerino in quest’ultimo uno stato di ansia e di preoccupazione;

(4) la condotta del coniuge che con ingiurie, sebbene non dirette all’altro coniuge, ma ai suoi genitori, abbia leso il decoro dello stesso. Tale lesione, difatti, si verifica quando sussiste uno stretto legame parentale fra la persona cui le offese sono comunicate e quella cui si riferiscono, traducendosi tale condotta in una mancanza del rispetto che, quale componente della dignità umana, è dovuto a ciascuno.

in relazione al rapporto di filiazione:

In tema di responsabilità genitoriale, il sistema normativo prevede un “automatismo” fra procreazione e responsabilità genitoriale. L’obbligo dei genitori di mantenere, educare e prendersi cura dei figli sorge infatti dalla nascita, costituisce un elemento fondamentale del rapporto familiare e dipende dal fatto stesso della procreazione, ed a tale dovere corrisponde il diritto della prole alla protezione ed alle cure necessarie al proprio benessere, di intrattenere e godere della relazione e del contatto diretto con i propri genitori6 L‘art. 30 della Costituzione, peraltro, individuando entrambi i genitori come soggetti obbligati a mantenere, istruire ed educare i figli, sancisce non solo il dovere di ciascuno nei confronti del figlio ma anche un dovere reciproco dei genitori, la cui violazione cagiona anche al genitore rimasto solo ad accudire la prole un danno non patrimoniale risarcibile

Vediamo alcune ipotesi di danno

  • il caso in cui alla procreazione non sia seguito il riconoscimento e l’assolvimento degli obblighi conseguenti alla condizione di genitore, con la violazione dei doveri di mantenimento, istruzione ed educazione, il figlio potrà domandare il risarcimento dei danni derivanti dall’abdicazione del padre dal proprio ruolo genitoriale e, dunque, dal vuoto affettivoe relazionale con cuiè stato costretto a convivere dalle ripercussioni che tale assenza ha avuto sull’evoluzione della sua personalità e sul diritto, anch’esso inviolabile (art.2 Cost.), all’identità personale, da declinarsi quale dirittoa identificarsi, tanto nella sfera privata, quanto in ambito sociale, quale figlio di un padre (e di una madre).
  • il caso di comportamento di un genitore connotato da totale disinteresse nei confronti del figlio;
  • l’abbandono del figlio minore, protrattosi senza soluzione di continuità dopo i diciotto mesi di vita del bambino, alla luce delle conseguenze dannose cagionate dalla condotta del genitore nei confronti del figlio sia in punto sofferenza ingiusta (turbamento interiore), perché privato della figura genitoriale, sia in ordine alla sua evoluzione fisio-psichica, anche considerando l’intensità dell’elemento soggettivo dell’illecito, specie se il padre ha deliberatamente deciso di trascurare il bambino per dedicarsi esclusivamente ad altri figli, con evidente grave discriminazione;
  • la deprivazione per i figli della figura genitoriale, a causa del comportamento consapevole e colposo del genitore, pur in presenza di regolare mantenimento. La mancanza di supporto nel corso del tempo deve ritenersi non aver consentito al figlio un percorso di vita e di crescita qualitativamente differente rispetto a quello che avrebbe potuto avere, dovendo per l’effetto ritenersi privato di diverse attività realizzatrici della persona che avrebbero potuto comporre il compendio della sua crescita psico-fisica;
  • la mancanza del sostegno morale e materiale alla prole, in particolare per non aver potuto intraprendere gli studi universitari;
  • l’allontanamento dal nucleo familiare del genitore e la creazione di una nuova famiglia, con aggravamento nell’ipotesi di adozione. In questo caso l’allontanamento dal nucleo diventa motivo di una grave condizione di deprivazione nei minori adottivi, già provati da un vissuto di abbandono;
  • il mancato riconoscimento di paternità, in caso di consapevolezza (del padre) della procreazioneche, pur non identificandosi con la certezza assoluta derivante esclusivamente dalla prova ematologica, richiede comunque la maturata conoscenza dell’avvenuta procreazione, non evincibile in via automatica dal fatto storico della (sola) consumazione di rapporti sessuali non protetti con la madre, ma anche da altri elementi rilevanti (specificatamente allegati e provati da chi agisce in giudizio)
  • quando, a seguito della separazione dei genitori, uno di questi, intraprendendo una relazione extraconiugale e lasciando la casa coniugale, non provveda economicamente, nonostante le decisioni giudiziarie in merito, al sostentamento dei figli e non si curi dei loro bisogni, rifiutando dolosamente ogni contatto e ogni tentativo di ristabilire con gli stessi una relazione affettiva;

Rispetto all’onere della prova quella del danno endo familiare non è altro che una particolare forma di responsabilità aquiliana, con tutte le conseguenze che ne derivano, anche sul piano dell’onere della prova:

Andrà offerta la prova del

  • La condotta illecita in uno stato soggettivo di dolo o colpa del danneggiante,non essendo per vero configurabile una responsabilità risarcitoria da fatto illecito se, nel concorso degli altri due elementi che definiscono lo statuto giuridico della responsabilità extracontrattuale, non sia provato anche il concorso del terzo ovvero una condotta colposa o dolosa del soggetto obbligato”.

Poiché la condotta illecita del danneggiante è un fatto costitutivo del diritto al risarcimento, è, invero, sul danneggiato che grava il relativo onere probatorio, alla luce del criterio di giudizio dettato dall’art. 2697 c.c..

  • danno che, si badi, non è in re ipsa, e dovrà quindi essere specificamente allegato e provato, anche presuntivamente)
  • nesso di causalità, il danneggiato che agisca a fini risarcitori debba anche provare che il danno sia conseguenza diretta e immeditata della condotta illecita.

Senza dimenticare che è sempre necessario che sussista l’ingiustizia del danno, ossia che il danno sia stato arrecato in assenza di una causa di giustificazione (quindi non iure) e sia lesivo di un interesse giuridicamente rilevante, non potendo invece costituire danno ingiusto il danno cagionato nell’esercizio di un proprio diritto o adempimento di un proprio dovere.

Quando la disgregazione del rapporto matrimoniale è imputabile, quale fatto illecito, ad uno dei coniugi è risarcibile

  • IL DANNO ALLA SALUTE fisico o psichico viene valutato da idoneo percorso medico legale specifico che attribuirà un punteggio identificativo del danno riscontrato,
  • Con la relativa “personalizzazione” del danno risarcito: ed all’uopo le circostanze di fatto che la giustificano integrano un “fatto costitutivo” della pretesa, sicché devono essere allegate in modo circostanziato e non possono risolversi in mere enunciazioni generiche, astratte od ipotetiche, bensì richiedono che la somatizzazione non sia di entità così lieve da non essere idonea a provocare una significativa sofferenza interiore (apprezzabile mediante procedimento presuntivo e secondo regole di comune esperienza umana) ed il radicale cambiamento delle ordinarie abitudini di vita in ambito endofamiliare e nelle relazioni sociali35.
  • il danno NON PATRIMONIALE patito dal consorte per la perdita, per il rifiuto, per l’offesa subita va liquidato secondo il criterio equitativo
  • il risarcimento degli eventuali pregiudizi di carattere PATRIMONIALE

Nel caso di lesione del diritto del figlio al riconoscimento del rapporto genitoriale, il figlio potrà pretendere

  • IL DANNO ALLA SALUTE biologico, con la relativa personalizzazione
  • IL DANNO DA SOFFERENZA ovvero il risarcimento del danno non patrimoniale in relazione alla sofferenza patita per l’assenza della figura paterna: difatti, la totale assenza del genitore può costituire fatto illecito idoneo a cagionare un danno in capo al figlio e in tal caso la sofferenza del figlio, peraltro, ben può essere maggiore rispetto alla perdita del genitore per il decesso se si considera che, a differenza della morte che innesca i meccanismi di elaborazione del lutto, il dolore del rifiuto al rapporto si rinnova quotidianamente nella ricerca e attesa di un segnale nella speranza di ricostituire/riallacciare il rapporto. Quindi, benché si debba tenere in considerazione la possibilità della ricostituzione del rapporto, non si può minimizzare la valorizzazione del danno subito dal figlio per l’aver vissuto con la consapevolezza di non essere stato desiderato e voluto, con ogni ripercussione sullo sviluppo psicofisico e sulla dimensione affettiva e relazionale;
  • il risarcimento dei pregiudizi di carattere PATRIMONIALE, tra cui, a titolo esemplificativo, la perdita della possibilità di acquisire una posizione sociale ovvero di intraprendere un percorso di studi e/o professionale coerente e adeguato alla posizione e alle capacità economico-reddituali paterne (danno da perdita di chance).

Quanto alla mancata corresponsione del mantenimento per il periodo anteriore all’accertamento giudiziale della paternità, titolato a richiederne il rimborso è il genitore che si sia fatto carico esclusivo del figlio, sopperendo alla mancanza dell’altro e anticipando le somme a suo carico; il figlio, per contro, è privo di legittimazione attiva.

In relazione al profilo della quantificazione del danno endo familiare non patrimoniale la giurisprudenza pacificamente ammette il ricorso, per il danno non patrimoniale, al criterio equitativo ex artt. 1226 e 2056 c.c., fermo l’obbligo del giudice di merito di adeguatamente motivare il percorso logico e valutativo seguito ai fini della liquidazione del danno.

Al fine di “oggettivizzare” la determinazione del danno, sono abitualmente prese a riferimento, per il danno non patrimoniale, le c.d. “tabelle milanesi” per il danno da lesione del rapporto parentale

I criteri tabellari costituiscono, tuttavia, solo un ragionevole parametro di riferimento. Pur presentando tanto il danno parentale, quanto quello endo familiare, un comune denominatore, e cioè la mancanza dell’apporto affettivo e relazionale della figura genitoriale, è necessario adattare i criteri tabellari alle peculiarità della fattispecie.

In particolare, dovrà considerarsi il fatto che la morte del genitore è situazione diversa dall’assenza volontaria dello stesso, stante l’irreversibilità della prima e il possibile evolversi della seconda , dovendosi quindi apprezzare in concreto se vi sia la possibilità che possa instaurarsi in futuro un rapporto tra padre e figlio; La morte del genitore è, infatti, situazione irreversibile, che comporta per il figlio un insanabile stravolgimento della propria dimensione familiare e relazionale, essendo egli improvvisamente privato dell’affetto, della cura e del sostegno che il genitore gli ha assicurato sino a quel momento; diverso, invece, è il caso in cui il genitore si sia disinteressato, per un periodo più o meno prolungato, del figlio, potendo tale situazione evolversi in termini positivi in caso di “ravvedimento” del padre.

La natura unitaria e omnicoinprensiva del danno non patrimoniale comporta l’obbligo, per il giudice di merito, di tenere conto, a fini risarcitori, di tutte le conseguenze in PEIUS derivanti dall’evento pregiudizievole, nessuna esclusa, valutando distintamente le conseguenze subite dal danneggiato nella sua sfera interiore (c.d. danno morale, sub specìe del dolore, della vergogna, della disistima di sé, della paura, della disperazione) rispetto agli effetti incidenti sul piano dinamico-relazionale (che si dipanano nell’ambito delle relazioni di vita esterne), autonomamente risarcibili, e attribuendo al danneggiato una somma che tenga conto del pregiudizio complessivamente subito sotto entrambi i  profili, con il concorrente limite di evitare duplicazioni attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici. A fini liquidatori, si deve procedere ad una compiuta istruttoria finalizzata all’accertamento concreto e non astratto del danno, dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, ivi compresi il fatto notorio, le massime d’esperienza e le presunzioni, al fine di valutare distintamente le conseguenze subite dal danneggiato.

Al fine di evitare che la relativa decisione si presenti come arbitraria e sottratta ad ogni controllo, è necessario che il giudice indichi, almeno sommariamente, e nell’ambito de1l’ampio potere discrezionale che gli è proprio, i criteri seguiti per determinare l’entità del danno e gli elementi su cui ha basato la sua decisione in ordine al quantum. Difatti, la “liquidazione equitativa, anche nella sua forma cd. ‘pura’, consiste pur sempre in un giudizio di prudente contemperamento dei vari fattori di probabile incidenza sul danno, e cioè in un giudizio di mediazione tra le probabilità positive e le probabilità negative del danno effettivo nel caso concreto. Pur giocandovi un ruolo rilevante il potere discrezionale del giudice, essa non può tradursi, pertanto, in una valutazione arbitraria, in quanto il giudice è chiamato a compiere un ragionevole apprezzamento di tutte le circostanze che nel caso concreto abbiano potuto avere incidenza positiva o negativa sull’ammontare del pregiudizio e a dare conto, in motivazione, del peso specifico attribuito a ciascuna di esse, in modo da rendere evidente il percorso logico seguito nella propria determinazione e consentire il sindacato del rispetto dei principi del danno effettivo e dell’integralità del risarcimento.

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