di Samuele Rossi e Gregorio Torchia
La separazione delle carriere tra pubblici ministeri (PM) e giudici è un tema centrale nella discussione sulla riforma della giustizia in Italia. Attualmente, entrambi appartengono alla stessa magistratura e condividono un percorso di carriera unico, con la possibilità di passare da una funzione all’altra nel corso della loro vita professionale. Tuttavia, molti ritengono che questa commistione possa compromettere l’equilibrio tra accusa e difesa nel processo penale.
I sostenitori della separazione delle carriere sottolineano l’importanza di garantire un principio di terzietà del giudice, evitando che un magistrato possa avere una mentalità più vicina all’accusa per via di un precedente ruolo da PM.
Propongono quindi la creazione di due ordini distinti di magistrati, con percorsi formativi e selettivi separati, per rafforzare l’imparzialità del giudice.
D’altra parte, i contrari ritengono che la separazione delle carriere potrebbe minare l’unitarietà della magistratura e la sua indipendenza, favorendo una maggiore influenza del potere politico sulla carriera dei pubblici ministeri. Attualmente, infatti, PM e giudici godono delle stesse garanzie di indipendenza e autonomia, e una riforma potrebbe ridurre queste tutele per i magistrati inquirenti.
Il dibattito è acceso e coinvolge magistrati, avvocati, politici e costituzionalisti. Alcuni ritengono necessaria una riforma costituzionale per attuare la separazione, mentre altri ritengono che basterebbero modifiche legislative. In ogni caso, il tema resta di grande attualità, poiché tocca il delicato equilibrio tra indipendenza della magistratura e diritto a un processo equo.
Segnaliamo che sull’argomento è intervenuto l’avv. Stefano Commodo con un articolo pubblicato da Torino Cronaca che potete trovare a questo link.