Pur potendo vantare numerose eccellenze mondiali in ambito sanitario, può capitare che vengano commessi errori che possono cagionare importanti danni fisici e finanche il decesso del paziente.
Si pensi al caso di un omessa diagnosi di lesione dei principali vasi sanguigni degli arti inferiori che conduca alla necessità di un’amputazione che sarebbe stata invece evitabile a fronte della possibile tempestiva individuazione della patologia, oppure all’omissione di terapie che avrebbero evitato il decesso.
In caso di morte del paziente, o anche solo di importanti reliquati invalidanti, è innegabile che si generi direttamente anche in capo ai suoi prossimi congiunti un danno non patrimoniale meritevole di risarcimento per la lesione o la perdita del rapporto con il proprio caro: d’altronde è evidente la perdita di un genitore o la riduzione alla paraplegia di un figlio sono fonte di un dolore immenso.
In tali casi indipendentemente dal fatto che le cure siano state erogate in ambito privatistico o pubblicistico, mentre il paziente per monolitica ventennale giurisprudenza vanta nei confronti della struttura sanitaria nella quale è stato arrecato il danno gode del favore dell’applicazione della responsabilità contrattuale che gli garantisce termini prescrizionali doppi (10 anni contro i 5 della responsabilità extracontrattuale) e un alleggerimento degli oneri probatori a suo carico, i suoi congiunti si possono avvalere solo della sicuramente minor tutelante responsabilità extracontrattuale.
In assenza di una specifica norma sul punto, la giurisprudenza di legittimità, con una visione che appare, secondo chi scrive, quanto meno sbrigativa e superficiale, ha ritenuto che il rapporto contrattuale si instaura esclusivamente tra la struttura ed il paziente che riceve le cure e non può essere considerato esteso anche ai congiunti, tranne nel caso specifico di responsabilità sanitaria per danni al nascituro o alla gestante dove invece la medesima tutela contrattale viene estesa anche ai prossimi congiunti.
Indipendentemente dalla logicità e condivisibilità di tale orientamento, in questa sede va rilevato che tutti i casi sui quali sinora la giurisprudenza di legittimità si è pronunciata attengono ad eventi avvenuti prima dell’entrata in vigore della Legge 24/2017 (c.d. Gelli-Bianchi) che, all’art. 7 comma 1 recita la struttura sanitaria “risponde ai sensi degli artt. 1218 e 1228 c.c.” dei danni arrecati nell’esecuzione delle prestazioni rese, senza porre limitazioni o distinzioni tra i vari possibili soggetti danneggiati.
Peraltro è appena il caso di evidenziare che da un esame completo del testo della c.d. Legge Gelli-Bianchi emerge come il Legislatore quando è stato intenzionato a circoscrivere l’esercizio di un diritto o di un’azione o la nascita di un obbligo in capo ad un soggetto o determinata e specifica categoria di soggetti lo ha fatto espressamente indicando a seconda dei casi “famigliari”, “pazienti” e/o “aventi diritto”.
Il fatto che allorquando abbia deciso di attribuire un determinato regime di responsabilità specifico non abbia invece posto alcuna limitazione esclusivamente ai pazienti è quindi sintomo di una chiara volontà di allargare l’applicabilità della responsabilità a tutti coloro nei confronti dei quali la struttura deve rispondere e quindi di tutti i danneggiati.
A conferma che questa sia la corretta interpretazione della norma soccorre anche la genesi della stessa norma: dalla lettura dei lavori preparatori alla legge ove, ad esempio, nella relazione del deputato Coletti Andrea, relatore di minoranza (cfr. lavori preparatori n. 259-262-1312-1324-1581-1769-1902-2155-A-bis), questi aveva proposto la seguente formulazione alternativa dell’art. 7: “1. La struttura sanitaria e l’esercente la professione sanitaria rispondono delle loro obbligazioni nei confronti del paziente ai sensi degli articoli 1218, 1223 e 1228 del codice civile.”.
Tale modifica con il riferimento al solo paziente non è stata però accolta e ciò conferma che il Legislatore ha voluto imporre in capo alla struttura ospedaliera una responsabilità contrattuale non solo nei confronti del paziente, ma di tutti coloro che nei cui confronti debba rispondere per aver subito un danno e quindi in un’ultima analisi di tutti i danneggiati tra i quali rientrano pacificamente anche i congiunti del deceduto o macroleso.
Ma vi è di più: un’ulteriore conferma di quanto qui si sostiene si può ritrarre dal comma 3 del medesimo articolo 7 della Legge 24/2017, dove trattando invece il diverso ambito della responsabilità del singolo professionista esercente la professione sanitaria chiarisce che egli “risponde del proprio operato ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile, salvo che abbia agito nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente.”
Anche in questo caso il responsabile “risponde” genericamente senza specificazioni e quindi nei confronti di tutti, salvo che non sia sorto un rapporto contrattuale con il paziente.
Pertanto se il precedente orientamento, pur criticabile, si era radicato senza doversi confrontare con una norma specifica sul punto, la Corte di Legittimità nella sua attività interpretativa del diritto vivente, non potrà più sottrarsi all’esegesi della L.24/2017 cui dovrà necessariamente adeguarsi per i fatti successivi alla sua entrata in vigore, in forza dell’art. 12 delle preleggi il quale, nel dettare proprio i criteri interpretativi della legge cui si devono attenere i Giudici, stabilisce che “Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore.”.
Ai posteri l’ardua sentenza.