L’ordinanza della Suprema Corte di Cassazione N 14943 pubblicata l’11.05.2022 rappresenta un importante conferma del buon diritto delle vittime di reati intenzionali violenti ad essere indennizzati, in misura equa ed adeguata, dallo Stato Italiano per mancata tempestiva e piena trasposizione nel nostro ordinamento della direttiva europea 80 del 2004 che, in estrema sintesi, imponeva a ciascuno Stato Membro dell’UE di adottare un apposito sistema riparatorio a favore delle vittime a partire dal 2005.
A tale Direttiva l’Italia è stata lungamente inadempiente, sostenendo che tale sistema indennitario era imposto esclusivamente a favore delle vittime residenti in un altro Stato Membro UE che avessero subito un reato intenzionale violento in Italia: tale posizione difensiva, per quanto assurda e talmente discriminatoria da essere inverosimile (garantire l’indennizzo solo ai cittadini UE non residenti e negarlo ai propri residenti) è stata a lungo propugnata dall’Avvocatura di Stato (trovando anche alcune conferme giurisprudenziali di merito) sino a quando non è stata promulgata la legge 122/2016 (con 11 anni di ritardo sul termine previsto dalla Direttiva!), che ha istituito il Fondo per l’indennizzo delle vittime (sia italiane che straniere, ma in quanto residenti in Italia) di reati intenzionali violenti stabilendo però indennizzi palesemente inadeguati e prevedendo in ogni caso a carico della vittima l’obbligo di dimostrazione della preventiva infruttuosa escussione del reo (laddove individuato e salvo che non sia stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato).
La vertenza oggetto della richiamata decisione era sorta ben prima della legge 122/2016 ed era giunta alla Suprema Corte in forza del ricorso della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che aveva richiesto la riforma della sentenza di merito della Corte d’Appello di Milano (che a sua volta aveva confermato quella del Tribunale di Milano) in forza della quale la Presidenza – quale organo di rappresentanza dello Stato Italiano – era stata condannata alla rifusione di un cospicuo indennizzo (di gran lunga superiore a quanto previsto dalla norma 122/16 e successive modifiche) a favore di una cittadina italiana vittima di una violenza di stupro di gruppo, perpetrata crudelmente davanti all’anziana madre (anch’essa riconosciuta titolare di indennizzo), durante una rapina nel suo esercizio commerciale.
L’ordinanza in esame nel rigettare l’impugnazione dell’Avvocatura di Stato, dichiarata in parte inammissibile ed in parte infondata, richiama alcuni propri precedenti giurisprudenziali, in particolare le decisioni della stessa Cassazione n. 26757/2020 e n. 26302/2021, ma soprattutto ci consegna i seguenti principi sulla materia:
- A) L’Italia è stata a lungo palesemente inadempiente dinanzi agli obblighi imposti dalla Direttiva 2004/80/CE, non avendo predisposto un sistema di indennizzo anche per i suoi residenti vittime di reati intenzionali violenti; la pretesa dei governi italiani di riservare l’indennizzo solo per i residenti di altri Stati membri viene liquidata dalla Cassazione come “ipotesi paradossale”!
- B) Le vittime italiane di reati intenzionali violenti commessi sul territorio italiano hanno diritto ad essere risarciti per il danno da tardiva disposizione della Direttiva 2004/80/CE in forza di una responsabilità contrattuale dello Stato per inadempimento ex lege;
- C) L’indennizzo previsto dallo Stato deve essere necessariamente equo ed adeguato e quindi, pur non dovendo coincidere con l’integrale risarcimento, deve essere un appropriato contributo al ristoro del danno materiale e morale subito e deve quindi tenere conto della gravità delle conseguenze per le vittime;
- D) La Direttiva non solo non prevede di subordinare l’ottenimento dell’indennizzo all’obiettiva impossibilità dell’ottenimento del risarcimento da parte del reo, ma anzi lo vieta in quanto la sussistenza di un siffatto obbligo si porrebbe in aperto contrasto con il suo obiettivo esplicitamente dichiarato di “facilitare l’accesso all’indennizzo e soprattutto di rimuovere gli ostacoli per il suo ottenimento a vantaggio delle vittime”.
A fronte di quanto sopra è quindi chiara la strada intrapresa dalla Cassazione e la sua implicita, quanto severa, critica al sistema indennitario creato per le vittime di reati intenzionali violenti che oggi prevede modestissime elargizioni evidentemente inique ed inadeguate (25.000€ per lesioni gravissime e stupro, € 50.000 per omicidio incrementabile sino a 60.000 euro se commesso nell’ambito famigliare) e che impone a pena di inammissibilità della domanda la prova dell’infruttuosa preventiva escussione del reo.
Nel caso della decisione che ora abbiamo illustrato, la Suprema Corte non poteva, poiché non rientrante nel perimetro del processo avente ad oggetto esclusivamente il risarcimento del danno per la mancata adozione da parte dell’Italia delle norme sollecitate dalla Direttiva n. 80/2004, affermare la difformità della normativa nel frattempo faticosamente adottata dall’Italia ai principi posti da tale Direttiva, ma, visti i principi affermati dalla Corte di legittimità in questa ed in altre decisioni sullo stesso tema, sembra che sia stata imboccata la strada che porterà alla dichiarazione della difformità della L. 122/2016 e delle sue successive modifiche ed integrazioni, con la inevitabile e necessaria conseguenza della Sua diretta ed immediata disapplicazione da parte delle Corti che a tanto sono obbligate laddove la legge Statale sia in contrasto con la legge sovranazionale.
Sicuramente la strada è ancora lunga, ma i binari questa volta paiono quelli corretti e alla fine di impegnative battaglie legali si giungerà ad un dignitoso trattamento delle vittime di ogni reato violento.