Nuovo DDL Sanità, così si favoriscono solo le compagnie assicurative

di Gaetano Catalano

Inefficace rispetto agli scopi, in sostanza una misura di carattere economico volta all’implementazione del mercato assicurativo. Questo in sintesi ciò che si cela dietro al nuovo Ddl Sanità in discussione davanti alla XII commissione del Senato. Il tema è stato a lungo dibattuto nel corso di un convegno organizzato a Roma  dall’Associazione Melchiorre Gioia. Ed è stata in quell’occasione che il nostro Studio Legale ha potuto offrire una disamina completa, quanto critica, del disegno legge. Il testo, infatti, pur incidendo poco sulla posizione dei danneggiati che rimane garantita dall’affermazione della responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, presenta innumerevoli criticità. Si parte dall’aver copiato, malamente, gli approdi giurisprudenziali di merito della sentenza Gattari (tralasciando invece quanto ribadito a più riprese dalla Cassazione per quanto attiene la responsabilità personale dei sanitari), per proseguire con l’istituzione di un’azione di rivalsa macchinosa e dilatoria, continuando con l’obbligatorietà di un tentativo di conciliazione destinato a fallire, fino alla carenza sia di un obbligo a contrarre per le assicurazioni sia di una puntuale regolamentazione dei casi di disdetta da parte delle compagnie. Se infatti l’intenzione era quella di porre un argine al fenomeno della c.d. medicina difensiva e quindi di consentire alla classe medica di poter agire con maggior serenità, questo Ddl sarà un vero e proprio buco nell’acqua. Per quanto riguarda la medicina difensiva è opportuna una premessa: la totale inattendibilità dei dati sbandierati dal ministero (si parla di circa 13 miliardi di euro di prestazioni sanitarie superflue o quanto meno eccessive che i medici prescriverebbero per porsi al riparo da eventuali future azioni di responsabilità nei loro confronti) in quanto fondati su un sondaggio telefonico effettuato su un ridotto campione di medici di base romani, i cui risultati sono stati poi moltiplicati su scala nazionale. Il dato è facilmente smentibile. Con un gruppo di colleghi di Studio abbiamo deciso di fare altrettanto, intervistando una ventina di medici piemontesi, cui ovviamente è stato garantito il più totale anonimato, chiedendo loro se nell’espletamento della loro attività sanitaria avessero mai tenuto comportamenti eccessivamente cautelativi più per la loro posizione che per la salute del paziente (ad esempio disponendo esami non strettamente necessari o prolungando ricoveri o eseguendo interventi chirurgici abnormi rispetto alla reale patologia): tutti hanno negato fermamente la circostanza. Quindi che la medicina difensiva, intesa come abnorme massa di costose attività sanitarie non necessarie alla salute del paziente, esista nei termini propinatici dal Ministero è tutto da dimostrare.  Tutti i medici intervistati però hanno ammesso, pur ribadendo che non incide sulla loro attività professionale, di essere sicuramente e seriamente preoccupati dal proliferare di azioni giudiziarie in ambito penalistico nei confronti della loro categoria e del timore di non riuscire più a garantirsi, in caso di sinistro, un’adeguata copertura assicurativa a prezzi sostenibili rispetto ai loro redditi. Problema che il Ddl non risolve.
Sotto il profilo penalistico il Ddl è totalmente ininfluente: sostanzialmente l’art. 6 prevede l’inserimento nel codice penale dell’art. 590-ter il cui contenuto è sostanzialmente analogo a quello del decreto Balduzzi: non apportando alcuna novità di rilievo non rafforza in alcun modo il disincentivo alle azioni penali oltre quanto già fatto in precedente tale norma. Sotto il profilo assicurativo il ddl non garantisce agli esercenti le professioni sanitarie di ottenere una valida copertura assicurativa a costi sostenibili, in compenso crea sicuramente condizioni di favore per le compagnie assicurative: l’art.10 infatti allarga la platea dei soggetti assicurabili a tutti gli esercenti la professione sanitaria dipendenti, copres gli infermieri, senza però che sia stato previsto come alcun contraltare riequilibratore come un obbligo a contrarre e/o un metodo di calmierazione dei premi e/o un sistema di tutela del assicurato in caso di disdetta strumentale da parte della compagnia.
Già da questa situazione è evidente che per gli esercenti la professione sanitaria vi sia poco da gioire. Ma vi è di più perché sono numerosi gli interrogativi che rimangono aperti. Che cosa succederà ad esempio se il sanitario dipendente pubblico non si assicura volontariamente o non trovi chi lo assicuri? Potrà l’azienda impedire al sanitario di svolgere la propria professione in difetto di copertura assicurativa che garantisca un eventuale azione di rivalsa in caso di sinistro, o potrà il professionista che dimostri di non aver reperito alcuna assicurazione disposta a garantirlo, rifiutarsi di rendere la propria prestazione professionale per giusta causa?
Probabilmente la risposta in entrambi i casi sarà negativa ed al massimo verranno previste delle sanzioni disciplinari ma ciò comporta che in caso di accertata colpa grave l’esercente la professione sanitaria dovrà rispondere per un importo pari al triplo della sua retribuzione lorda annua. Pertanto per quanto riguarda la posizione degli esercenti la professione sanitari questo DDL non porta alcun giovamento perché si dovranno assicurare personalmente, probabilmente a caro prezzo ed avranno un nuovo nemico il proprio datore di lavoro, sul quale graverà l’obbligo erariale, in caso di struttura pubblica, o l’interesse economico, in caso di struttura privata, di rivalersi su di loro per l’intero risarcimento erogato.
In senso diametralmente opposto si pone il ddl riguarda alla posizione delle strutture sanitarie. Oggi la stragrande maggioranza delle Strutture sanitarie pubbliche è priva di copertura: le compagnie si sono ritirate da questo mercato quando i premi riscossi non garantivano marginalità per gli utili e le Aziende non potevano permettersi di pagare premi più alti. A fronte di tale situazione sarebbe stato lecito attendersi che il Ddl fornisse una risposta adeguata per riaprire questo mercato, ed invece il Legislatore è andato nella direzione diametralmente opposta permettendo esplicitamente alle strutture di non assicurarsi più: all’art. 10 comma 1 infatti è espressamente prevista la possibilità di dotarsi di una copertura assicurativa “o di altre analoghe misure per la responsabilità civile.” Ancora più chiaro sul punto è poi il comma 6 quando afferma che l’emanando decreto dovrà stabilire “i requisiti minimi di garanzia e le condizioni di operatività della altre analoghe misure, anche di assunzione diretta del rischio, richiamate dal comma 1” . Ne consegue che le aziende sanitarie, soprattutto quelle pubbliche, potranno continuare a non assicurarsi, mentre i loro dipendenti dovranno essere assicurati per garantire l’effettività dell’azione di rivalsa ex art. 9 ddl.
In estrema sintesi, più che una vera riorganizzazione della materia ed un reale ed efficace strumento di lotta alla medicina difensiva, questo ddl è volto esclusivamente ad una diversa allocazione dei costi pubblici dei risarcimenti spostandoli dalle casse dell’Erario, alle tasche dei suoi dipendenti, regalati quali futuri assicurati alle compagnie.

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